Introduzione al Bonsai

Febbraio 13, 2001 in Giardinaggio da Redazione

Storia

Con questo articolo inizia la mia collaborazione con Traspi.Net su un argomento che penso possa interessare tutti coloro che amano la natura e le sue implicazioni filosofiche ed estetiche; sono molto lieto di iniziare un dialogo con i lettori per farli accostare a questa forma d’arte sviluppatasi migliaia di anni fa in Cina e poi trasportata in Giappone da monaci Buddisti.

Pur essendo le due nazioni completamente differenti nella filosofia e nell’arte, senza ombra di dubbio l’amore per la natura affascinò i letterati dei due paesi che iniziarono a coltivare le piante nei loro giardini per poterle poi esporre nelle loro case per diletto e per distinzione.

Bonsai significa pianta in vaso (Bon = pianta, Sai = vaso o contenitore); in Cina si hanno notizie di splendidi esemplari a partire dalle dinastie Hsia, Shang e Chou (circa 2205-255 a.C.). L’ideogramma PUN-SAI comparve per la prima volta durante la dinastia Tsin-Chin (265-420 d.C.) e, in una tomba di un nobile della dinastia Tang (morto nel 705 d.C.), furono dipinti sulle pareti due uomini che portano un contenitore con rocce, piante ed un vaso a forma di fiore di loto contenente anch’esso un piccolo albero.

Anche in Occidente ci sono alcuni esempi di coltivazione delle piante in vaso risalenti a circa 4000 anni fa. In Egitto sono stati rinvenuti documenti che testimoniano come l’uso di coltivare gli alberi in vaso fosse cosa comune ed ancora oggi se ne possono ammirare degli esempi a Deir-el-Bahri, vicino alla città di Tebe, in alcuni bassorilievi nei templi di Nebhepet, opera del re Mentuhopte (2061-2010 a.C.). In una raffigurazione del tempio si possono vedere alberi trasportati in vasi, da Punt, in Somalia, per essere usati nel giardino della regina Hatshepsut.

Altre testimonianze provengono da Plinio il Vecchio: nella sua monumentale Naturalis Historia esprime chiaramente il concetto di una sacralità degli alberi e di una loro coltivazione sistematica. Anche qui si parla esplicitamente di vasi, di drenaggio, di rinvasi e trapianti, di legno secco, tutte tecniche ancora oggi adoperate dai bonsaisti nel loro lavoro quotidiano.

Un altro esempio, questa volta orientale, si trova nella medicina Ayervedica, la cosiddetta scienza Vaamantanu Vrikshaadi Vidya o scienza che impedisce lo sviluppo degli alberi: i medici ayervedici usavano il fico del Banien, il Peepul, il Tamarindo, il Neem, la Acacia, ecc. per curare le malattie umane e, avendo necessità di usare le cinque parti della pianta (Panchaanga), erano obbligati a coltivare le piante in contenitori miniaturizzandole.

Per tornare alla Cina, la coltivazione di veri e propri bonsai ebbe larga diffusione durante la dinastia Tang (620-907 d.C.), in un periodo di pace, libertà e fioritura di commerci, arti e letteratura: l’artigianato sviluppò una straordinaria produzione di ceramiche e porcellane; alcuni di questi esemplari, tra l’altro, si possono ammirare ancora oggi nel Museo di Pechino.

La Cina dell’ultimo periodo della dinastia Sung (960-1280 d.C.) è considerata una nazione decadente; diffondendosi cerimonie, riti e superstizioni Taoiste, alle composizioni di sole piante si aggiunsero pietre e figure per ricreare paesaggi in miniatura, chiamati PUN-WAN: quelli che oggi chiamiamo Bonkei. Le varietà di essenze più diffuse erano il pino, il cipresso, il susino, l’orchidea, il crisantemo ed il bambù.

Il termine PUN-WAN venne cambiato, durante la dinastia Yan (1280-1368 d.C.), in SHEA TZU CHING, per poi chiamarsi PUN-CHING (piante in vaso con paesaggio) tra la fine della dinastia Ming (1368-1644) e l’inizio di quella Ching (1644-1911). In questo periodo si incominciarono a delineare gli Stili di coltivazione dovuti alle diverse Scuole.

Nel 1688 in un libro di botanica, “Pi-chuan Huaching”, la pratica delle coltivazioni di piccoli alberi fu chiamata PEN-TSAI che poi, negli ideogrammi cinesi, era l’equivalente del BON-SAI giapponese.

di Gaijin Ronin