“10.000 Days”: il ritorno dei Tool

Maggio 29, 2006 in Musica da Gino Steiner Strippoli

La band di Los Angeles torna dopo 5 anni con un album impegnativo, con suoni cupi e duri ma anche varie progressioni strumentali e vocali.

tool5 anni sono davvero lunghi per non essere dimenticati! Il mondo del rock è implacabile. Ogni giorno sorgono band che mettono a tacere altre band che rimangono negli anni mute e in silenzio.

Ma a volte l’attesa fa crescere la voglia di rimpossessarsi di certe musicalità di certi musicisti. E’ il caso dei Tool, che dopo aver raggiunto il grande successo con un album pressoché perfetto come “Lateralus”, uscito nel 2001, sono ritornati a far godere di vibrazioni sonore i loro “adepti-rock”.

“10.000 Days” (Sony Bmg) segna il ritorno della band americana, nata nel 1991 a Los Angeles, che più di ogni altra ha realizzato nel corso degli anni un progetto rock senza limiti sonori. Maynard James Keenan, frontman del gruppo, Adam Jones, alla chitarra, Justin Chancellor, al basso e Danny Carey alla batteria, sono riusciti a sviluppare un tappeto sonoro che va dal progressive barocco dei King Crimson (sentire Wings For Marie) alla psichedelica più pura di Syd Barret, sino ad arrivare all’heavy metal più alternativo ‘passeggiando nell’hard core’.

“1000 Days” è un album impegnativo ma sublime, denso di paure, con suoni molto cupi e duri ma contemporaneamente aperto ad accelerazioni e progressioni strumentali e vocali che danno lucentezza al rock. 11 brani che sono poi vere suite di almeno 6 minuti ciascuna, eccezion fatta per l’intermezzo spirituale di “Lipan Conjuring”, un canto di due minuti circa.

Questo 6° disco li ripropone in un lungo viaggio live che toccherà l’Italia in giugno: a Milano il 19 al Datchforum, il 21 a Roma al Foro Italico e il 22 a Bologna al LandRoverArena.

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“1000 Days” si apre con “Vicarious” una stoccata imperiosa. Il brano, che da il là all’intero album, è aggressivo ed elettrico quanto è imponente l’iniziale duetto di assolo tra chitarra e batteria per poi tramutarsi in un’armoniosa progressione terribilmente hard. Adam Jones,continua a mietere riff energici nella successiva “Jambi”, anche se la ritmica appare più “tranquilla”. La voce di Keenan è poetica e leggera, sino a quando una nuova esplosione di riff eleganti e potenti riportano il suono alla durezza più alta, con la chitarra che nel finale inizia a stridere assoli lancinanti. La poliedricità creativa dei Tool appare in tutta la sua magnificenza quando arriva “Wings For Marie”. Un ritmo cupo e misterioso in una sorta di sinfonia chitarristica classicheggiante con sfumature gotiche. La voce canta delicata in un suono barocco. Quasi un ritorno all’esplosione sperimentale di Crimsoniana memoria.

“1000 days”, omonimo brano che da il titolo all’album, è la continuazione della suite precedente, quasi un perfetto soundtrack medievale con tanto di suoni che riproducono tuoni e fulmini. Ma potrebbe benissimo essere la sonorità di un ambiente futuristico e nebuloso. Davvero superba la prova dei Tool in questa “doppia traccia”.

Ascoltando i due brani si entra dentro un mondo di misteri, di leggende, di storie maledette di ieri, di oggi e di domani e del rapporto controverso che il nostro Keenan ha con sua madre. A tratti sembra una cavalcata di energia e raffinatezza. “The Pot” è un’altra perla tonante. Il basso di Chancellor predomina incessante con Keenan che entra lamentoso… poi un’esplosione sonora disegna aperture hard rock e post core mentre Carey alla batteria diventa un rullo compressore.

Questi 4 ragazzi americani sono incredibili nella loro performance tanto che quando arriva il momento di “Lost Keys (Blame Hofmann) i Tool aprono la porta alla psichedelica più vera (facendo ricordare per un attimo il Syd Barrett del ‘Fluido Rosa’). Sono attimi intensi di grande atmosfera. Poi il vento cambia e quando Keenan attacca “Rosette Stoned” ci ritroviamo in pieno hard-core devastante, accattivante, ricco di energia brutale. Un brano da evitare quando si guida l’auto o la moto!!! Il rischio? Far volare l’automezzo a velocità incontrollabili.

“Intension” è il primo degli ultime tre tracce a tessere armonie più leggere, più chiare. Un’immagine africana in mezzo ai sussurri della savana, con un sottofondo finale di percussioni. Atmosfere dense e intime che continuano con “Right in Two”, a mio avviso uno dei momenti più belli dell’album, dove la voce di Keenan si sviluppa in una progressione elegante.

Il the end a questo “10.000 Days” lo dettano un insieme di rumori, forse di un altro mondo, di un’altra dimensione… denominati “Viginti Tres”. Dimenticavo la copertina dell’album: c’è una cover con tanto di lenti per vedere tridimensionalmente le pagine del libricino interno. Anche questi sono i Tool.

di Gino Steiner Strippoli