7810 per Giuseppe Culicchia
Maggio 24, 2005 in Libri da Redazione
Giuseppe Culicchia, sette romanzi alle spalle, un film di successo tratto dal tuo romanzo di esordio, una nuova edizione di American Psycho di cui hai curato la traduzione, e ora anche una guida che racconta Torino. C’è ancora qualcuno che ti chiama “giovane autore”?
Oh sì che c’è. Mi capita molto spesso, anche se ormai ho 40 anni e un certo numero di libri alle spalle. E’ una cosa molto italiana, credo: non penso che in altri paesi succeda. Del resto non ci posso fare nulla: le etichette te le appiccicano gli altri, e fatalmente ti restano attaccate. Non sono il solo, comunque: anche De Carlo passa ancora per giovane scrittore, e dire che ha una figlia universitaria.
Sei diventato uno degli autori-simbolo della città di Torino, come Farinetti, Gambarotta e Fruttero&Lucentini. Come vivi questo successo “sotto la Mole”?
Non so se sono davvero un simbolo. Certo sono grato ai lettori della mia città, che mi seguono con affetto e attenzione (e si accorgono se in quello che scrivo c’è qualche errore, dopo di che giustamente me lo fanno notare). Torino per fortuna ha un carattere riservato, si sa: perfino i Subsonica riescono a camminare indisturbati per via Po.
I tuoi romanzi sembrano raccontare, a due a due, momenti particolari della tua vita. Potremmo definire ‘Tutti giù per terra’ e ‘Paso Doble’ romanzi generazionali, ‘Blablabla’ e ‘Ambarabà’ nichilisti, ‘A spasso con Anselm’ e ‘Liberi quasi tutti’ favole per adulti. Dobbiamo aspettarci il ritorno di Attila e Zazzi, protagonisti de ‘Il paese delle meraviglie’?
Per il momento non credo: ho un altro progetto in mente a cui sto lavorando, anche se non escludo di rimettere mano almeno a Zazzi, un giorno o l’altro: è un personaggio cui sono molto legato, che potrebbe riservare sorprese in futuro.
Parliamo del tuo nuovo libro, ‘Torino è casa mia’.
Torino è casa mia nasce da una proposta della Laterza: un anno e mezzo fa mi hanno contattato dicendomi che volevano inaugurare una nuova collana in cui pubblicare tra gli altri anche libri che raccontassero le città dal punto di vista degli scrittori che ci vivono. Mi hanno chiesto di raccontare la mia Torino e ho accettato subito perchè amo molto Torino, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. E poi perchè la sento davvero come una casa, e quindi mi è venuto spontaneo dividere il libro in capitoli, che sono come i vani di un appartamento.
I tuoi romanzi sono tradotti in molti Paesi. Pensi che ‘Torino è casa mia’ avrà un seguito fuori dallo stivale?
Non ne ho idea, come guida è un po’ particolare, non ci si trova un elenco di alberghi e ristoranti, uno deve andarseli a cercare… vedremo.
Se dovessi consigliare uno solo dei tuoi romanzi a qualcuno che non ti ha mai letto, quale sceglieresti?
Di sicuro quello a cui sto lavorando ora, quando e se uscirà. Ma tra quelli già pubblicati, direi senz’altro Il paese delle meraviglie: finora è quello di cui sono più soddisfatto, anche perchè ci ho messo tutto quello che volevo metterci, e rileggendolo trovo davvero sia un passo avanti rispetto agli altri (anche se so che non toccherebbe a me dire queste cose).
I tuoi libri sono caratterizzati da un sottofondo di musica punk. Poi non dimentichiamoci “Clash”, scritto a quattro mani con Alberto Campo, e neanche Anselm il formichiere punk… Punk, punk, punk…
Il punk ha fatto parte della mia giovinezza: ascoltare quella musica in un certo senso mi ha incoraggiato a scrivere, in fondo si trattava di ragazzi che prendevano in mano una chitarra senza aver mai fatto il conservatorio, e io volevo scrivere senza aver fatto il classico…
Sei uno dei pochi autori della generazione di Scarpa e Ammanniti che si è tenuto fuori dal fenomeno “giovani cannibali”. Perché? Ed è stato un bene o un male?
Non so se è stato un bene o un male, è andata così semplicemente perchè non mi sono mai riconosciuto in quel discorso.
Se scrivo “Giuseppe Culicchia” su Google mi vengono fuori 7810 link. Non ti fa effetto?
Prova a scrivere, chessò, “Eva Herzigova”!
Agli scrittori si chiede sempre: a quando il prossimo libro?
Sono proprio all’inizio, davvero non saprei…
di Andrea Roscigno