Ragazzi del ‘45

Dicembre 22, 2009 in Musica da Redazione

Keith Jarrett e Anthony Braxton, coetanei, attraversano da protagonisti gli ultimi quarant’anni di jazz. Ci soffermiamo sui loro recenti album live. Multipli.

Keith Jarrett, TESTAMENT – PARIS / LONDON, ECM 2009 (3 CD)

Anthony Braxton / Joëlle Léandre, DUO (HEIDELBERG LOPPEM) 2007, Leo 2009 (2 CD)

JarrettIn meno di un mese, fra l’8 maggio e il 4 giugno 1945, uno ad Allentown (Pennsylvania), l’altro a Chicago, sono nati due degli uomini-simbolo del jazz-anni Settanta. Il primo è Keith Jarrett, rivelatosi poco più che ventenne nel quartetto di Charles Lloyd, per affermarsi definitivamente a partire dal 1970 partecipando alla rivoluzione elettrica di Miles Davis. Accanto al quale gli toccava suonare il piano elettrico, mai amato, per cui ha visto bene di mettersi in proprio, iniziando una luminosissima carriera solistica, prima con i quartetti americano ed europeo, quindi col celeberrimo (e celebratissimo) Standards Trio, nonché, di frequente, in piano solo. Se la dimensione solitaria è piuttosto usuale per un pianista, lo stesso non si può dire per un sassofonista – anzi: polistrumentista – qual è Anthony Braxton, assoluto pioniere in materia (il suo primo album in solo, “For Alto”, è del 1968), oltre che sperimentatore fra i più rigorosi e intelligenti degli ultimi quarant’anni di jazz. Durante i quali ha abbeverato il lessico musicale neroamericano alle fonti della musica dotta, varando organici fra i più singolari (per esempio un trio con tromba e violino) quando ciò non era affatto merce comune com’è tutto sommato oggi.

Jarrett è sempre stato essenzialmente uno straordinario stilista: la sua ricerca, in senso evolutivo, si è di fatto arrestata col tramontare degli anni Settanta, salvo eccezioni in fondo rare, tipo il magistrale, visionario “Spirits” (1986), dove il pianista si fa multistrumentista (come Braxton), affidandosi alle risorse della sovraincisione. Il CD (doppio) appena citato, è in effetti un lungo dialogo fra sé e sé, senza interlocutori né intermediari di sorta. In totale solitudine, Jarrett ha inciso svariati album, per lo più squisitamente pianistici, anche multipli, com’è appunto “Testament”, che nella gerarchia specifica possiamo dire fin d’ora che occupa un posto di sicuro rilievo. Dei tre dischetti, il primo comprende le otto parti di un concerto parigino del 26 novembre 2008, gli altri due le dodici (definite proprio così, parts, visto che trattasi di improvvisazioni, o se preferite composizioni istantanee) di un’esibizione in quel di Londra di cinque giorni successiva. La session parigina ha un’anima tendenzialmente più quieta, cogitabonda, intrisa di un rapsodismo più schiettamente concertistico (nel senso di classicheggiante), laddove il live londinese sembra ruotare maggiormente attorno a cellule marcatamente ritmiche (e quindi, se vogliamo, più squisitamente jazzistiche), solcate da quella cantabilità quasi infantile che, con gli immancabili mugolii in sottofondo, è così tipica della poetica jarrettiana. Un gran disco, senza mezze misure.

BraxtonSe Jarrett è ormai da decenni legato in esclusiva all’ECM di Manfred Eicher, Braxton, per dar voce alla sua voracità autorappresentativa, ha bisogno di spazi che solo diverse etichette possono garantirgli. Ciò non toglie che sia la londinese Leo Records a documentarne con maggiore perseveranza l’attività. Sempre dal vivo (il 17 marzo 2007 a Loppem, Belgio) è stato così realizzato il doppio con la contrabbassista (nonché cantante) francese Joëlle Léandre sul mercato da un paio di mesi. Misurandosi con sax alto, soprano e sopranino, nonché con quel clarinetto contrabbasso di cui è l’autentico “inventore” in ambito jazzistico, Braxton dialoga con la sua partner senza remore, con un senso della costruzione in tempo reale senz’altro ammirevole. I brani, in questo caso, sono appena tre (di cui uno, brevissimo, offerto come bis). E visto che anche qui di musica nata del tutto all’impronta si tratta, i titoli sono assolutamente conseguenti: Duo 1, 2, 3. I sentieri battuti hanno picchi e ripiegamenti continui, e così anche gli esiti formali alternano momenti di alto coinvolgimento ad altri magari lievemente involuti, per così dire “di passaggio”. Un lavoro, sia quel che sia, degno della massima attenzione.

Links:

www.ecmrecords.com

www.keithjarrett.it

www.keithjarrett.org

www.jazzdisco.org/keith-jarrett/discography

www.leorecords.com

it.wikipedia.org/wiki/Anthony_Braxton

www.restructures.net/BraxDisco/BraxDisco.htm

di Alberto Bazzurro