Kyoko mon amour, Del Gaudio ne parla con Traspi.net
Marzo 12, 2010 in Libri da Cinzia Modena
Si potrà incontrare Alessandro Del Gaudio a Modena, sabato 13 marzo, durante il Buk, festival della piccola e media editoria di Modena.
Titolo: | Kyoko mon amour |
Autore: | Alessandro Del Gaudio |
Casa editrice: | Il foglio Letterario |
Prezzo: | € 15,00 |
Pagine: | 175 |
E’ uscito in libreria a fine 2009 un approfondimento sul mondo dei manga (fumetti) giapponesi. L’autore, Alessandro Del Gaudio, ha voluto portare 10 storie differenti per stile, trama, soggetto, successo e diffusione. Venti anni, cinque autori, dieci fumetti adolescenziali e storie d’amore e di competizione; di uomini e donne; ambientate in aule scolastiche, campi di baseball o live house; sfide eroiche o vita quotidiana; vita di città, paesaggi inventati o ispirati alla realtà. Un paese e la passione dell’autore per il Sol Levante e la letteratura disegnata così come arrivata a noi. Un viaggio che incontra Kyoko di Maison Ikkoku, o Koyuki, protagonista di Beck – Mongolian Chop Squad. Pregevole l’inserimento nel testo di dialoghi e tavole dei manga trattati, significativi per comprenderne lo spirito e il ritmo.
Sono un assaggio di un genere non facilmente definibile, che io ho ribattezzato manga adolescenziali, in rapporto all’età dei protagonisti. L’idea è di raccontare il Giappone dei giovani attraverso le generazioni, da quelli degli anni 80 a quelli del Terzo Millennio. Essendo un romanziere ho scelto uno stile colloquiale, quasi narrativo, che mostrasse l’anima di storie che in parte mi hanno ispirato nella mia carriera. A queste storie, in particolare, devo molto per il mio primo romanzo, Il candore dei ciliegi. Vorrei che chi leggesse questo libro fosse spinto ad approfondire meglio acquistando il fumetto, fornendogli delle possibili chiavi di lettura.
Ho voluto concentrarmi soprattutto sul fumetto e, in parte minore, sul cartone animato. Volutamente ho scelto di inserire all’interno del libro solo immagini prese dai manga, perché è lì che nasce la storia originale, non ancora contaminata dalle esigenze di mercato che il cinema di animazione invece ha.
Maison Ikkoku (Cara dolce Kyoko) è il capostipite, in un certo qual modo prima che venisse trasmesso in televisione la percezione del cartone animato giapponese era diversa, di un prodotto meno maturo. Qualcuno magari mi smentirà, ma per me è stato così. L’ho visto all’età giusta, l’adolescenza. Negli anni precedenti non lo capivo molto, non mi appassionava. Mentre ha fatto un po’ da leit motiv del cambiamento che era in corso dentro di me a partire dal compimento della maggiore età. È stato un momento di scelte, di responsabilità che non potevo più delegare agli altri, di voglia di vivere e di riuscire. E mentre sentivo questo sembrava che il serial della Takahashi mi segnasse la strada, succedeva esattamente quanto mi aspettavo o speravo capitasse a me. Certo a me non è andata bene come a Godai, la mia Kyoko non ha scelto me, però l’idea che al mondo ci siano occasioni anche per i timidi e gli impacciati non mi ha più abbandonato. Provo una certa nostalgia per quegli anni, a volte ci torno con la mente, ho bisogno di riappropriarmene e rifugiarmi. E per farlo leggo i manga che mi hanno accompagnato, tra cui Maison Ikkoku, come ho fatto quando ho scelto di scrivere Kyoko mon amour. In realtà avevo cominciato a scrivere una storia dal titolo Pompelmo road, per ricalcare quel periodo, ma poi si è arenata e ho pensato che scrivere un saggio fosse meglio.
In Giappone il fumetto è un’industria, si parte con l’idea di raccontare una storia su carta, ma poi si approda al cinema, al merchandising, alla musica. Attorno agli anime ruotano gruppi musicali e successi discografici che un po’ ricordano il sistema delle produzioni hollywoodiane. E in Italia, purtroppo, non sembriamo disposti ad accettarlo o a volerlo capire. Questo capita solo perché la cultura giapponese non ci appartiene abbastanza, ci appare estranea, incomprensibile, per quanto ci sforziamo di capirla. Quando io cercavo di spiegare di quale portata economica fosse il fenomeno dei manga, i miei amici mi prendevano per stupido.
Il manga è più di un semplice fumetto, è un’espressione culturale profondamente giapponese, che deriva direttamente dalle prime xilografie del XVII secolo. In patria viene considerata una delle massime espressioni culturali ed artistiche, con una tradizione incrollabile, e ha ispirato un certo modo di sentire e di esprimersi. Non solo, oggi si parla di stile manga, che è diffuso ormai in tutto il mondo come uno dei massimi esempi della pop art.
Analizzando le storie di cui ho parlato non penso si possa parlare di evoluzione assoluta di stile, ma solo di maturazione artistica personale: sfogliando i manga che tratto è certo che ciascuno autore ha affinato la propria tecnica (ad esempio Rumiko Takahashi in Maison Ikkoku e Izumi Matsumoto in Kimagure Orange Road); mentre appare più difficile riscontrare in ciascuno stile un’evoluzione rispetto a quello degli altri. Possiamo ricono
scere in Harold Sakuishi una predilezione per i primi piani e le “riprese dal basso” rispetto, ad esempio, alle tavole corali di Mitsuru Adachi, dense di personaggi. Ma questo non vuol dire che un po’ di Adachi non ci sia anche in Sakuishi e viceversa. Personalmente reputo migliori le tavole di Matsumoto e, soprattutto, Katsura, che mi sembra anni luce avanti agli altri, pur avendo realizzato alcuni fumetti dieci anni prima di Beck.
Ho cercato di scegliere dei brani in cui emergesse la natura dei personaggi e il nocciolo delle storie. L’elemento caratterizzante di Maison Ikkoku è la pensione in cui vivono i protagonisti, per cui ho scelto il primo capitolo, in cui gli inquilini si presentano e compare la protagonista, Kyoko; in Present from Lemon si parla di un idol (un fenomeno musicale creato appositamente da un produttore discografico che deve la sua notorietà soprattutto alle apparizioni televisive) e della sua voglia di sfondare, per cui ho mostrato il brano in cui Lemon realizza il progetto di partecipare al principale festival del genere in Giappone; in Video girl Ai si parla di ragazze virtuali generate dai videoregistratori, e ho presentato l’entrata in scena di Ai, la protagonista. In Beck l’attenzione è focalizzata alla creazione di una band destinata a scalare le classifiche del rock in Giappone e nel mondo, e ho “fotografato” il momento in cui effettivamente il gruppo si crea, con l’ingresso di Koyuki e Saku nella formazione.
Questa è una bella domanda. C’è molto Giappone in questi manga, in fondo viene presentata la cultura nipponica, con i suoi tempi, i suoi rituali sociali, le sue tradizioni. Ma allo stesso tempo si inquadra una società aperta alle contaminazioni esterne, occidentali. Il Giappone è il più occidentale dei paesi asiatici, sia per tenore di vita, sia per modo di vivere. Tuttavia, non mi stancherò mai di dire che ciascuno delle storie trattate si sarebbe potuta svolgere in qualsiasi altra città del mondo, perché in fondo la quotidianità che ci viene mostrata non differisce molto da quella di qualsiasi altro essere umano. Avrei visto bene Rough ambientato in America o I’’s in Italia.
La cosa che mi ha colpito di queste storie è che pur trattando, in alcuni casi, lo stesso argomento, ciascuna può differire molto dalle altre simili. Per esempio, tanto Present from Lemon quanto Beck si occupano di musica, ma lo fanno in maniera differente: nel primo caso si analizza il fenomeno posticcio degli idol, nel secondo quello più genuino delle band; in pratica si contrappone a X-Factor la musica underground, con distinzioni ben evidenti: non me lo vedrei proprio Lemon cantare una canzone accompagnato dai Beck. E che dire di One pound Gospel e Touch. Sono manga sportivi, ma nel primo caso il pugilato sembra quasi un pretesto, passa in secondo piano, laddove in Touch il baseball e lo sport in generale sono determinanti per gli esiti della storia. Dovessi dire quale argomento meriterebbe di essere approfondito sceglierei sicuramente uno prettamente giapponese, culturalmente associato al suo sistema: il mondo degli idol, da noi ancora allo stadio embrionale, pur se criticabile meriterebbe di essere analizzato più a fondo. Ma credo anche che un manga adolescenziale possa parlare di tutto e di tutti, possa farsi portavoce di un numero pressoché illimitato di storie e vicende personali, da quella di un apprendista chef di successo a quella di un lottatore di sumo; a questo proposito, potrei dire che il mondo che merita di essere approfondito è quello di cui non si è ancora parlato e di cui un manga si presterebbe bene a parlarci.
di Cinzia Modena