In diretta dal Tour de France
Luglio 9, 2010 in Sport da Claris
Gueugnon è una piccola città ai confini della Borgogna, terra tra le più ricche di Francia nei secoli scorsi e cuore agricolo oggi. Gueugnon è anche la cittá delle spade, per la sua celebre industria manifatturiera che ha forgiato milioni di spade per le guerre senza armi da fuoco, e ora sede di un’acciaieria tra le più famose.
Ma attorno ci sono solo campi, campi pieni delle mucche charollais. Mucche da carne tutte beige chiaro, con la pelle rugosa e molro pacifiche e tranquille.
Tranquillità oggi turbata dall’arrivo della manifestazione più amata dal popolo francese, il Tour de France. Il tour con la sua carovana coreografica, il suo magico corteo che fa impoazzire bambini e adulti che si affollano sui prati del percorso dalla mattina per un picnic e poi per ammirare beniamini di casa ed eroi stranieri, atleti muscolosi che pedalano sudati (e si spera non dopati) e gregari con la borraccia al collo, ammiraglie piene di strateghi e marpioni che aspettano l’ultimo momento per lo scatto vincente.
Questo è il tour, la magia che unisce la Francia dei piccoli paesi sperduti, le montagne più dure verso l’Italia e la Spagna e le grandi città. Magia in nome di una maglia gialla che è simbolo della nazione, della fatica dei corridori e di quella che la gente fa ogni giorno e che sublima una volta all’anno nei propri eroi.
E in questi paesi di provincia, meno di diecimila anime, vecchi e ragazzi sanno tutto della storia della corsa, tappe e vincitori a memoria e sono ansiosi di mettere a mente quello che taglia il traguardo accanto al fiume di casa, quella Loira ancora lontana dai castelli, ma tanto vicina ai cuori della gente.
E l’entusiasmo nel lungo viale del tragurado si vede con ole e cappellini gialli solo gialli, si sente con urla folli da quando passano gli sponsor a quando il grande schermo proietta la fine della fuga solitaria di giornata e regala la certezza di un arrivo in volata, spettacolo assoluto di vibrazioni di ruote, facce tese e centimetri rubati al vento.
L’entusiasmo lo tocchi con mano, quando la gente ti sorride e ti dice bonjour e allon si che la tappa arriva.
Dieci kilometri all’arrivo adesso, cala il silenzio nell’attesa palpitante, sono sotto il traguardo, meglio dei giornalisti e dei vip. Attorno a me solo gendarmi, che chissá chi pensano che io sia, magari mi arresteranno, ma dopo l’arrivo perchè ora sono in trance agonistica anche loro.
Sei kilometri arrivano le moto dell’organizzazione, solo qualche bambino agita ancora mani giganti e pon pon. Tutti gli altri pendono dalle parole dello speaker che annuncia alla testa del gruppo Petacchi e Cavendish. Petacchi è italiano, se vince inizio a urlare come un pazzo, e al diavolo l’aplomp da giornalista imparziale. Ha già vinto due tappe dopo due anni bui. Cavendish ha vinto ieri, tornanso il favorito di ogni sprint da qua all’arrivo a Parifi il 25 luglio.
Due kilometri, nessuna caduta tra i migliori per ora, ma a meno di un kilometro dall’arrivo c’è un tornante coon un ponte in mezzo, il pericolo è li li per gli uiomini razzo delle bici.
Arrivo. Ritmo di tamburi. Sprint, dopo oltre 250 km, dopo la tappa più lunga del Tour 2010, corsa sotto un sole caraibico. Petacchi c’è, ma Cavendish gli prende i metri giusti per batterlo, campione olimpico del resto, chapeaux… Sarà la prossima, all’Italia quest’anno non ne va bene una. L’Inghilterra si riprende un po’.
E ora guardiamo le ragazze che lo baceranno sul podio…
di Claudio Arissone