Le formiche di Charaka
Agosto 5, 2001 in Medley da Redazione
La storia della medicina indiana può essere suddivisa in tre grandi periodi:
– periodo vedico dal 1500 a.C. all’800 a.C.: in quest’epoca furono scritti i Veda (testi sacri della scienza) e gli Ayurveda (libri della salute);
– periodo brahmanico tra l’800 e il 1000 d.C.;
– periodo mongolico dal 1000 fino al XVIII secolo.
La concezione teurgica della medicina permea totalmente il periodo vedico: la malattia viene identificata con specifici démoni o come loro punizione e la guarigione opera di altrettanti déi benigni “specializzati”. Gli antichi di tutte le civiltà chiamavano démoni quelli che oggi noi chiamiamo virus e batteri.
Anche i brahmani, del secondo periodo, si consideravano diretti discendenti di Brama, che impersonava lo Spirito del Mondo e aveva dettato le regole della medicina.
La storia dei brahmani, tre di loro in particolare, é la storia della medicina indiana.
Charaka visse intorno all’anno 1000 e, poiché il “Codice dei brahmani” proibiva ogni indagine sui cadaveri, le sue nozioni di anatomia derivavano esclusivamente dall’osservazione esterna del corpo. Ciò nonostante Charaka può essere annoverato fra i grandi precursori della patologia clinica odierna: era un vero esperto nell’esame dell’urina, che eseguiva sistematicamente, e, per mezzo del quale, diagnosticò e classificò ben venti varietà di poliuria e il diabete mellito.
Assaggiando l’urina, Charaka e gli altri medici indiani si accorsero che era “dolce come il miele” (da cui l’epiteto mellito) e per il suo contenuto in zucchero attirava le formiche (d’abitudine la pipì veniva fatta in strada!). Nonostante il metodo empirico, tutto ciò prova che il diabete era una malattia nota e diffusa ed i medici indiani erano in grado di diagnosticarla.
Nel Samhita Charaka (Codice di Charaka) sono raccolti molti scritti, soprattutto per quanto riguarda le terapie e la tossicologia (morsi di serpente). I medicamenti erano per la maggior parte di origine vegetale; contro la lebbra se ne conoscevano circa cento e altrettanti per la tisi.
Per la cefalea, l’ansia e le coliche renali, venivano impiegate le radici della Rauwolfia serpentina, una pianta che, studiata a lungo in tempi recenti, ha rivelato la presenza di un alcaloide, la “reserpina”, dotato di una notevole azione sedativa, ipnotica e ipotensiva.
Queste proprietà furono tenute sempre in grande considerazione dagli indiani, dall’antichità sino ad oggi, e si dice che anche il mahatma Gandhi avesse l’abitudine di bere ogni giorno una tazza di infuso di rauwolfia per meglio calmare l’animo e prepararsi ad affrontare i lunghi digiuni.
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di Cidimu.it