Coincidenze mortali
Dicembre 1, 2010 in Racconti da Tomas
La pazzia prolunga la vita
[…] E ora vadano i mortali, nella loro stoltezza, in cerca di Medee, di Circi, di Veneri, di Aurore e di non so qual fortuna, per ritrovare e riottenere la giovinezza ! Io sola posso e voglio donarla, in mio possesso è quel succo mirabolante, con cui la figlia di Memnone prolungò la giovinezza dell’ avo suo Titone, son io quella Venere, pel cui favore ringiovanì Faone, tanto che Saffo ne andò pazza. Mie sono le erbe, dato che ne esistano, miei gl’ incantesimi, mia è quella fontana che non solo restituisce la giovinezza volata via, ma ciò che è più desiderabile, la conserva immortale. Ché, se tutti vi accordate in questo modo di pensare, che cioè nulla c’è di meglio della giovinezza , nulla di più odioso della vecchiaia, potete vedere, io credo, di quanto a me siate debitori, a me che vi mantengo un bene sì grande e caccio un male si grande !
Erasmo da Rotterdam, Elogio della pazzia.
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E si accesero i suoi pensieri, come fari nella notte, come mai prima di allora, come in una sorta di fuoco fatuo inspiegabile e misterioso. Aveva desiderato da sempre quella casa, fin da quando, bambina spensierata e monella, avrebbe fatto di tutto per vedere i suoi interni, sfidando i divieti dei genitori. Nei suoi sogni da bambina era come un castello dai mille volti, capace di proteggere, di attrarre, di allontanare gli stolti, di accendere la fantasia di chiunque la scorgesse da dietro quelle siepi, oltre quel cancello arrugginito. Un giorno, tornando da scuola, sfidando una compagna di classe, l’ amica di giochi e confidenze, Luna provò l’ ebbrezza del proibito. Luna era una ragazzina vivace come tutte le sue coetanee, ma nessuna amava le sfide come lei, nessuna era sprezzante del pericolo come quella monella dagli occhi di cenere. I genitori le avevano scelto quel nome per il candore della sua pelle, erano indecisi fino al giorno della nascita se chiamarla come la nonna materna, Anna, o quella paterna, Maria, ma quando videro quel pallore dovuto ad una malattia del sangue che tuttora la seguiva, la madre non ci pensò due volte e la chiamò subito “Tu sei e sarai sempre la mia Luna” stringendola tra le proprie braccia calde e tremanti per la felicità e lo sforzo del parto. Forse fu anche questa malattia a renderla così spavalda e fiera delle proprie sfide, quasi volesse inconsciamente esorcizzare la paura per quei malori e svenimenti che erano sempre dietro l’ angolo. Quel giorno i suoi pensieri si materializzarono davanti agli occhi, scavalcando quel cancello come una gatta selvatica, noncurante delle conseguenze, fisiche e familiari che avrebbe potuto e dovuto affrontare in seguito. “Fai attenzione, Lou !” le gridò prima che saltasse giù dal cancello l’ amica Simona, “Non farmi aspettare troppo che mia madre mi aspetta !”. Ma Luna sorrideva e quasi non sentiva quelle preoccupazioni proiettate su di lei, le scivolavano addosso come pioggia primaverile, pur essendo una fredda giornata di novembre.
Erano passati quasi vent’ anni da quel giorno uggioso d’ autunno, ed ormai viveva in quella casa da poco più di sette anni. Anni passati a ristrutturarla in parte negli interni, rinforzando le mura esterne e cambiando il cancello, ma a differenza del vicino di casa che ne acquistò l’ ala ovest, non la demolì. Voleva mantenere l’ aspetto di quel sogno che aveva seguito fin da bambina, quel fascino misterioso che ne cingeva le mura, le finestre, il tetto, fino alle siepi curate nei minimi particolari, quasi maniacale, da lei stessa. L’ ala est manteneva così l’ aspetto quasi del tutto intatto del vecchio convento settecentesco chiuso negli anni cinquanta per la morte dell’ ultima ospite. Il comune non aveva voluto occuparsi né del terreno né dell’ edificio, mentre la chiesa aveva altro a cui pensare in quegli anni e non aveva i fondi e la voglia per riprendersi cura di un vecchio rudere che nessuno voleva. Nessuno tranne Luna, pronta ad indebitarsi fino all’ impensabile pur di averla tutta sua.
E si riaccesero i suoi pensieri, ritornando bambina, quando a 9 anni aveva scavalcato il suo cancello perdendo quasi la ragione e subendo poi i rimproveri della madre.
Le storie che si raccontavano nel paesino su quel convento non erano tutte lusinghiere, e qualcuna avrebbe potuto spaventare il più temerario dei ragazzi del luogo, ma lei era fatta di un’ altra pasta e non aveva mai fatto caso a quelle leggende e maldicenze. Quel giorno di vent’ anni fa aveva potuto assaporare il gusto del mistero e ne rimase prigioniera.
Una misteriosa vocina la seguiva da allora incessantemente, insinuandosi tra i suoi pensieri, accendendoli o spegnendoli quasi a comando, vegliando quel futuro che stava arrivando.
Il presente era un regalo che ogni giorno festeggiava sempre più magnificamente, da sola o con i suoi cari, madre o la fidata amica Simona che non l’ aveva mai abbandonata. Storie sentimentali ne aveva avute come tutti, nessuna aveva lasciato il segno, nessuno era riuscito a rapirla come aveva fatto quella casa, stregata da un rudere freddo e senza cuore per chiunque ma non per lei.
Quel 13 novembre pareva essere un giorno come un altro, con un cielo plumbeo fuori ad invogliare a restare in casa mentre la colazione era servita sul tavolo della cucina. Madre e figlia a gustarsi il latte macchiato con i biscotti al miele che Luna preparava ogni settimana, e fuori la pioggia che non voleva ancora saperne di cadere dal cielo, rimanendo aggrappata alle nuvole. “Andiamo in paese, preparati, devo fare una commissione così ne approfitto e ti accompagno” disse Luna alla madre, che annuì alzandosi portando le tazze nel lavandino. “Sarò pronta in mezz’ ora” disse alla figlia lasciando la cucina. Luna, come suo solito, preparava la colazione e puliva le stoviglie lasciando alla madre il compito del pranzo, tornando padrona della cucina con la cena. Così, tra i suoi pensieri immersa e le mani indaffarate, Luna passava quei minuti poco prima di prepararsi per uscire. Rimase sorpresa, quasi spaventata, quando scorse una figura con la coda dell’ occhio. Alla sua destra si trovava la finestra che dava in giardino davanti al cancello d’ ingresso, coperta da delle tende celeste chiaro scelte con cura da Luna stessa. Quelle tende lasciavano spazio al nudo vetro solo nelle giornate di sole e quella era una mattina troppo cupa per invogliare lo spostamento, così Luna, intravista quell’ ombra alla finestra si domandò cosa ci faceva la madre fuori in giardino se doveva prepararsi. Aveva cominciato a spiarla e perché mai ? Fu percorsa da una strana sensazione che le fece venire i brividi alla schiena per poi farla sobbalzare quando vidi arrivare la madre proveniente dalla parte opposta della casa “Non hai ancora finito ? Manchi solo tu, sono pronta !”. Luna si scusò sovrappensiero asciugandosi le mani ed andando verso la finestra spostando le tende, ma fuori non vide nessuno. Stava impazzendo o stava ancora sognando, si convinse tra sé e sé correndo in camera a darsi gli ultimi ritocchi per uscire. Non era una che si perdeva nei preparativi e così fu pronta in breve tempo, forse anche spinta dal voler scoprire se ci fosse davvero qualcuno fuori in giardino. Erano passati quasi vent’ anni e quella vocina che non l’ aveva mai lasciata, quel giorno non si era ancora fatta sentire. I suoi pensieri giravano come a vuoto, spaziando dalle vecchie leggende paesane sul convento, fino al racconto piccante, sul più figo del paese vicino, che le aveva confidato il giorno prima Simona. Uscirono di casa puntando verso l’ auto posteggiata davanti al cancello, Luna non era ancora del tutto a posto dopo quel che era accaduto in casa e la madre pareva aver capito che c’era qualcosa che non andava nella testa della figlia “Che hai ? Mi sembri con la testa da un’ altra parte, è successo qualcosa ?” le chiese premurosa come sa fare una madre. “Niente, niente dav
vero, è solo questo tempo che mi dà fastidio” rispose Luna sorridendo a stento ed accendendo il motore.
L’ auto era posteggiata rivolta verso la casa, e lo spazio per la manovra era poco, così si usciva sempre in retromarcia aprendo il cancello automatico con il telecomando, ma quel giorno andò qualcosa storto. L’ accensione non ebbe problemi, il cancello si era aperto, la marcia era entrata normalmente, tutto pareva filare come sempre, ma tornò davanti agli occhi di Luna quella figura, quell’ ombra dietro alla tenda, quel volto che non era riuscito a vedere l’ aveva come rapita una seconda volta, in modo diverso da come l’ aveva rapita la casa sognata, e tutto le passò davanti in una frazione di secondo riportandola a quando aveva 9 anni, a quasi venti anni prima in quell’ ingresso che ora era la cucina di casa. Una frazione che le fu quasi fatale, pigiando forte il pedale dell’ acceleratore uscì senza guardare fuori dal cancello, inebetita da quelle visioni, tramortita nell’ animo, ipnotizzata da quell’ ombra che non era riuscita a vedere meglio. Fu un attimo e la madre urlante non riuscì a ridestare la figlia da quell’ ennesimo svenimento mentre la testa della figlia andava cadendo sul volante e l’ acceleratore rimaneva schiacciato. Un attimo interminabile con l’ auto che attraversava il cancello e la strada nell’ ora di punta della provinciale che costeggiava la casa. Auto, moto e tir sfrecciavano in quel punto, anche se il limite era di 50 Km/h, e la fine pareva arrivata per madre e figlia. Il clacson suonava premuto dal volto di Luna coprendo le urla della madre ma non impensierendo i mezzi che sopraggiungevano da entrambi i sensi, un senso che pareva non avere invece quella fine che stavano incontrando le due donne quel giorno. Ma la Pazzia pareva aver fatto male i conti con la Morte, ed incredibilmente l’ auto attraversò indenne la strada, nonostante il sopraggiungere a velocità sostenuta di un mezzo pesante proveniente dal paese e di un’ auto sportiva dal senso opposto, finendo il suo percorso, maledetto e fortunato al tempo stesso, nel fosso del canale che scorreva lungo la provinciale. Madre e figlia erano salve, un po’ stordite per il colpo di frusta e la caduta nel fosso, ma poteva andare peggio in fin dei conti. La madre continuò ad urlare fino a quando non vennero a tirarla fuori il conducente del tir ed il vecchietto che guidava l’ auto sportiva, mentre Luna si risvegliò in ospedale dove chiese spiegazioni dell’ accaduto alla madre. Non fu uno dei suoi soliti svenimenti, solo lei lo sapeva, ma non ne volle parlare con nessuno, tranne che con la sua fidata Simona. Nei giorni successivi si confidarono tutto, non tralasciando nemmeno quella figura misteriosa, quell’ ombra senza volto che l’ aveva spiata, quella presenza che aveva cambiato il volto di quella giornata ma che avrebbe potuto (o voluto ?) vedere una fine ben peggiore. Simona si impegnò come suo solito in un mare di ricerche, riportando all’ amica le proprie idee nel loro incontro della settimana successiva.
Quel presente era un gioioso regalo da festeggiare, del resto aveva subito solo un piccolo colpo di frusta che non le aveva lasciato grossi danni fisici, mentre lo shock non l’ aveva toccata come capitò alla madre che vide invece la morte passarle davanti senza toccarla. Le era rimasto solo quel ricordo di quell’ ombra che la spiava da dietro le tende e di quello parlarono la sera del 21 novembre in pizzeria, solo lei e Simona.
E si riaccesero i suoi pensieri, ritrovando quella vocina che pareva averla abbandonata proprio nel momento del bisogno. Luna rincorreva quel ricordo ripensando a vent’ anni prima, quando in quell’ ingresso della sua futura casa vide quell’ ombra apparire e svanire senza mostrarle il volto, lasciandole solo una voce che le risuonava nella testolina da ragazzina. Simona aveva portato con sé il frutto delle proprie ricerche, un piccolo contenitore con delle fotocopie di giornale, delle stampe da pagine di internet ed alcuni appunti presi a matita da lei stessa. “Vuoi davvero sapere cosa ho scoperto ?” le chiese l’ amica fidata guardandola negli occhi di cenere che parevano ardere. “Ti pare che sia venuta qui a mangiare solo questo schifo di pizza ? lo sai che non mi piace questo posto” la sgridò Luna sorridendo “Su sbrigati che voglio andare a vedere Harry Potter”. L’ aveva scampata bella solo qualche giorno fa e pareva non le fosse successo niente, questo piaceva a Simona di Luna, non l’ avrebbe fermata nemmeno la Morte in persona. “Vado subito al dunque allora, e ti lascio i fogli per una lettura più attenta nei prossimi giorni, che ne dici ?” disse allora Simona ribattendo al rimprovero dell’ amica. “Mi pare giusto, io ti faccio fretta e tu mi liquidi così, va bene signorina ricercatrice” disse Luna masticando controvoglia un pezzo di pizza “fai che dirmi subito di che morte devo morire e non parliamone più”. Non poteva immaginare quel che le avrebbe detto Simona, anche perché quella vocina che la seguiva le diceva sempre e solo una stupida frase, la stessa che sentì in quella sua futura casa. “Tu sei fortunata e sfortunata al tempo stesso, mia cara Lou !” si fermò per bere un sorso d’ acqua e poi proseguì “La tua malattia, la casa, quella figura nascosta, l’ ultima ospite di casa tua, son tutti pezzi di un incredibile puzzle che sono riuscita a ricostruire, e quando avrai finito di leggere i miei fogli mi ringrazierai, altroché !” le disse Simona puntandola con un pezzo di pizza fumante. “Vuoi finirla di dire sciocchezze e venire al dunque ? altrimenti prendo e vado da sola al cinema !” Luna era impaziente, non per il film ma per quello che stava aspettando di ascoltare dalla voce di Simona che non ci pensò su due volte e proseguì nelle sue spiegazioni velate “Devi capire che vi hanno salvate le tende di casa tua, perché quella figura doveva essere la Morte e non vedendola in faccia sei riuscita a sfuggirle. Da quel che mi hai poi detto ti ha seguita pure nei tuoi pensieri, ma il tuo svenire ti ha salvata per la seconda volta, come accadde quel giorno di venti anni fa, ti ricordi o fai finta di aver rimosso ?”. Il silenzio scese al tavolo come una gelida nevicata d’ inverno, soffice, umido, penetrante e freddo da impazzire. Luna cominciava a capire meglio di cosa si stava parlando e chiuse il discorso alzandosi dal tavolo ed andando a pagare il conto “Dai spicciamoci che il mago ci aspetta !” disse prendendo tutti i fogli dell’ amica.
Quella notte non riuscì a dormire e tornata a casa, nella sua stanza, si immerse nella lettura di quelle ricerche fatte dalla preziosa amica. Erano articoli sulla misteriosa morte dell’ ultima ospite del convento, anche lei malata della stessa malattia di Luna, anche lei sofferente di imprevedibili svenimenti repentini. In un altro articolo, dei giorni successivi alla sua bravata di ragazzina, si collegava la figura del convento proprio con lei. Luna cominciava a ricordare, aveva scavalcato il cancello ma poco dopo era caduta svenuta e non era riuscita ad entrare in quella casa, quel che ricordava di aver visto era stato frutto della fervida immaginazione di una vivace ragazzina, forse, fatto sta che quel mancamento l’ aveva salvata, non facendola entrare mentre esplodeva la bomboletta di gas che usava un barbone rifugiatosi nel convento. Simona era riuscita a salvare l’ amica e la casa dalle fiamme cercando aiuto e trovandolo appena in tempo. Fu in quel momento che si soffermò sugli appunti scritti a matita dall’ amica: PRIMA O POI DOVRAI GUARDARMI IN FACCIA, frase scritta più volte con o senza il punto interrogativo. Quella era la frase della vocina che la seguiva da quel giorno da ragazzina. Svenuta si era vista all’ interno della casa, dove un’ oscura figura della quale non era riuscita a vedere il volto le aveva pronunciato proprio quelle strane parole. Ma per fortuna, continuava a rimanere una figura misterio
sa, un’ ombra senza volto che la pazzia (come veniva bollata in passato la malattia di Luna) le aveva permesso di tenere lontana. E da quel giorno le tende di casa vennero sempre lasciate ben chiuse, anche nelle splendide giornate di sole.
di Tomas