Avevo mille vite e ne ho preso una sola
Aprile 19, 2011 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Avevo mille vite e ne ho preso una sola |
Autore: | Cees Nooteboom |
Casa editrice: | Iperborea |
Prezzo: | € 14,50 |
Pagine: | 192 |
Può un libro rivelare l’impronta più vera di un autore, pur essendo stato “assemblato” da qualcun altro? Secondo me Avevo mille vite e ne ho presa una sola ci restituisce l’essenza profonda Cees Nooteboom, pur essendo stato materialmente costruito dal filosofo tedesco Rüdiger Safranski, legato all’autore olandese da una profonda amicizia, nata fin dai tempi di Philip e gli altri, il folgorante esordio di Nooteboom.
Il libro è una collezione di frammenti, ordinati per categorie dello spirito: leggere, scrivere, il viaggio, l’Europa, immagini, … A tutta prima l’idea di estrarre alcune righe dal contesto in cui sono state incatenate per sempre, può lasciare perplessi. Un po’ come quando iniziano ad uscire i best of di un cantante.
Occorre dire che Nooteboom vive di illuminazioni e digressioni. La trama, in senso tradizionale, riveste un ruolo di secondo piano rispetto alla sostanza disegnata dalle parole. E le parole, come illustra il passo seguente, possono essere considerate a loro volta precarie:
Perché, quattro mesi prima, s’era interrotto nel bel mezzo di una frase? Il telefono, qualcuno alla porta, l’influenza il giorno dopo, poi una conferenza da qualche parte […] aveva portato con sé il manoscritto del suo racconto come un talismano, l’aveva avuto vicino a sé in tutte le camere d’albergo, ma non gli aveva più dato uno sguardo. […] Il lettore non avrebbe mai saputo niente di quei due mesi, non avebbe mai saputo che la parola che ora, a suo arbitrio, avrebbe scritto per continuare il suo racconto non era la stessa parola (probabilmente non era la stessa parola) che avrebbe voluto scrivere due mesi prima. […] Qualsiasi cosa egli si inventasse, quell’invenzione sarebbe divenuta per il lettore realtà.
Il fascino della prova di Nooteboom sta proprio nel saper dar forma a tutto quanto di sfuggente e impalpabile ci circonda, alla menzogna della letteratura nel senso precisato da quest’altra citazione:
Gli scrittori sono persone che, per lo meno a mio avviso, scrivono di paesi che non esistono nella realtà o che dotano determinati paesi di monti che di fatto non esistono – in breve, sono individui che non imitano alla perfezione la cosiddetta realtà secondo una ricetta aristotelica erroneamente intesa, ma al contrario utilizzano le infinite possibilità dell’arte per farle violenza, per calzarla, rivoltarla, abbassarla o elevarla, perché altrimenti non sarebbe possibile sopportare questo mondo. In questo modo essi compiono ciò che possono veramente fare: inventare storie, mistificare e incantare. Al resto provvedono la televisione, i politici e i sociologi. Costoro sono gli ammnistratori adeguati o inadeguati della realtà fattuale, e quando mentono non è in ogni caso un’arte.
Parole che combaciano con la mia personale idea di letteratura. Da questo punto di vista le sezioni del libro più storicamente determinate, come quelle riservate all’Europa, sono (per me) le meno interessanti, come se fossero zavorrate.
Visto in questa prospettiva, il libro è quindi perfettamente autonomo e legittimo. Contiene tutti quei passi che, se d’accordo con una certa idea della letteratura, avremmo sottolineato e riletto nel corso del tempo. Senz’altro un breviario dunque. Un oggetto prezioso da aprire a caso, per assaporarne poche righe alla volta, come un liquore da meditazione.
Se volete aver un’anteprima d’uno dei brani di maggior suggestione, vi rimando a questo link.
di Stefano Mola