Banksy. Wall and piece
Novembre 29, 2011 in Libri da Benedetta Gigli
Le opere d’arte incentrate solo sul desiderio di essere famoso non ti renderanno mai famoso. La fama è un effetto collaterale di qualcos’altro. Non si ordina un pasto al ristorante se si vuole della merda
Banksy
Dopo aver letto questo libro ti vien proprio da pensare che quest’uomo è un grande. Quando vedi dei graffiti sui muri hai sempre il dubbio se siano semplicemente dei gesti incivili o se possano essere considerati “arte”. Sfogliando le immagini di questo libro, non ci sono incertezze: è arte (per lo meno quella di Banksy e di pochi altri eletti writers).
In questa pubblicazione non c’è molto testo. Oltre a un’introduzione, in cui l’artista ci illumina sul perchè i graffiti sono una delle forme d’arte più oneste che ci siano e ad alcuni intermezzi, dove spiega il perché di alcuni suoi lavori, tutto il resto è immagine: bellissime foto di opere a sfondo satirico e che toccano molto spesso argomenti fondamentali come la politica, la cultura e l’etica.
Toccante la parte
che riguarda il Muro della Segregazione in Palestina, sul quale Banksy ha rappresentato alcune scene (la più famosa, forse, è quella della bambina che vola via tenendosi ad un palloncino):
Anziano: Tu dipingi il muro, lo rendi bello
Io: Grazie
Anziano: Non vogliamo che sia bello,
odiamo questo muro,
vattene a casa
Interessante anche la parte che testimonia una delle cose che lo ha reso più famoso, cioè la sua abilità di entrare nei musei più importanti del mondo e appendere delle sue opere tra le altre già presenti. Spesso passano giorni prima che qualcuno si accorga dell’intrusione. I suoi temi preferiti in questi casi, sono quadri dipinti in perfetto stile settecentesco, con l’aggiunta di alcuni particolari completamente anacronistici (nobili del Settecento con bombolette spray, dame di corte con maschere antigas, ecc.).
Divertentissima la fine, in cui vicino a un autoscatto in cui il viso è pixellato, si legge la frase: la gente mi ama o mi odia, o non gliene frega niente. E così Banksy gira le spalle e se ne va.
di Benedetta Gigli