Lear: su il sipario
Ottobre 16, 2001 in Spettacoli da Redazione
Bisogna intendersi subito. Questo non è “Re Lear”, la famosa tragedia di Shakespeare. Qui si parla di una delle tante trasposizioni in opera lirica del capolavoro. Molte non sono riuscite, dando origine a cloni di poco spessore artistico. Lo stesso Verdi rinunciò al sogno del rifacimento. «Per un drammaturgo musicale estremamente portato alla sintesi come lui, era impresa difficilissima concentrare la materia senza snaturare il messaggio shakespeariano», dice Ronconi, regista di questa edizione dell’opera.
Stiamo parlando di “Lear”, trasposizione appunto dell’opera originale da parte del tedesco Aribert Reimann, una delle migliori a detta dei critici. E’ l’opera con cui si è aperta questa sera la stagione artistica del Teatro Regio e con la quale continua quel percorso, iniziato diversi anni fa, che ha portato il palco dell’istituzione ad essere uno dei più autorevoli a livello nazionale ed oltre. L’opera, infatti, porta la firma di un grande regista, Luca Ronconi, il quale ha realizzato l’allestimento proprio nel teatro subalpino e con la collaborazione dell’apparato tecnico dello stesso. Le tecnologiche scene sono state realizzate nei laboratori alla periferia della città, come già avvenuto per altro per le opere “La damnation de Faust”, “Il caso Makropulos” e “Lohengrin”.
Alla conferenza stampa di maggio, la direzione del teatro aveva confermato di voler continuare sulla strada degli ultimi due anni, proponendo al suo pubblico grandi classici ed opere innovative, di rottura. Si pensava che esempio di questa seconda categoria dovesse essere Carmen 2, il prossimo spettacolo in cartellone a fine novembre. In realtà già questa realizzazione rischia di far storcere il naso a parecchi puristi. Alla toilette, durante l’unico intervallo nelle due ore e mezza della pièce, si sono sentiti commenti che spaziavano dall’entusiastico al disgustato, passando dall’annoiato, infastidito, fino all’ammirato.
Difficile risulta senz’altro l’opera in sé, con le cacofoniche note di Reimann che flagellano la sopportazione dell’uditorio, passando attraverso continui piani e forti, messi lì a volte a sorprender l’uditore, altre a confermare il climax della scena. Se capita di passare vicino alla cavea dei musicisti, può essere curioso gettare uno sguardo alle partiture: grosse note campeggiano in disordine sul pentagramma, in un mero di una ventina per pagina. Lo spartito di un violino viene ad assomigliare a quello di un timpano o di un triangolo, e richiede certamente ai maestri una notevole e ferrea coordinazione, non sorretta da una logicità armonica.
Se si deve poi ulteriormente analizzare il libretto, poco chiari risultano i personaggi ed i loro legami all’inizio della vicenda, con storie parallele che mal si incastrano nei primi venti minuti. Particolare peso sembra avere il paggio, unico personaggio a recitare in italiano (gli altri fraseggiano in inglese), fino alla sua totale ed inspiegabile scomparsa nel terzo atto, subito a ridosso dell’intervallo. Pian piano la vicenda si dipana fino a diventare comprensibile, ma l’impegno da parte dell’osservatore deve essere elevato.
Impeccabile invece la scenografia, che lascia con un tuffo al cuore appena si solleva il sipario. Un enorme piano inclinato secondo due assi occupa tutto il palco del Regio ed obbliga gli attori ad esercitare la loro arte in una situazione estrema. Tra i primi pensieri che ho avuto nel veder l’opera è stato il chiedermi se avessero stipulato qualche assicurazione particolare: ad ogni loro movimento, talvolta anche energico, rischiano di perdere l’equilibrio e di rovinare nella fossa degli strumenti. L’effetto fortemente prospettico è garantito. Da notare poi le macchine mobili e i vari oggetti che compaiono sulla scena, tutti modificati per adattarsi alle mutate condizioni del pavimento.
A completare la maestosità dell’allestimento vi sono botole che si aprono a sorpresa e una grande rampa, in grado di frammentare in luoghi diversi la scena, espediente necessario per risolvere la contemporaneità di alcuni avvenimenti. Più di tutto poi colpisce la scena della tempesta, quando metri cubi d’acqua vengono irrorati da un apposito sistema simulato tra le quinte, in alto. Infine i giochi di luce caricano ulteriormente le scene di pathos, creando interni ed esterni, lividi paesaggi ed infuocati campi di battaglia.
A questo punto qualcuno si aspetterà un suggerimento, un commento personale. Io non sono un esperto, quindi eviterò di pronunciarmi. Se qualcuno intende avvicinarsi all’opera come forma d’arte, forse è meglio che inizi con qualcosa di più abbordabile; se invece si vuole essere presenti all’evento, o si è di ampie vedute, val la pena vedere questo spettacolo realizzato in grande stile da un teatro che ha finalmente trovato una sua dimensione creativa.
Lear
Teatro Regio – P. Castello, 215 – Torino
Martedì 16 Ottobre 2001 – ore 20.30 – Turno A e Opera Novecento
Giovedì 18 Ottobre 2001 – ore 20.30 – Turno B –
Sabato 20 Ottobre 2001 – ore 20.30 – Turno Regione 1
Domenica 21 Ottobre 2001- ore 15 – Turno C –
Martedì 23 Ottobre 2001- ore 20.30 – Turno D
Giovedì 25 Ottobre 2001- ore 20.30 – Turno E
Domenica 28 Ottobre 2001 – ore 15 – Turno F
di Diego DID Cirio