“Anche le statue muoiono”, a Torino una mostra tre sedi
Marzo 19, 2018 in Arte, Attualità, Net Journal, Primo Piano, Viaggi e Turismo da Marcella Trapani
E’ stata inaugurata da pochi giorni la mostra su tre sedi Anche le statue muoiono, con una conferenza stampa congiunta delle tre istituzioni culturali torinesi promotrici dell’iniziativa, il Museo Egizio, i Musei Reali e la Fondazione Sandretto Rebaudengo, cui si unisce l’Università di Torino con il CREST (Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino).
Il progetto espositivo nasce da una riflessione sull’importanza del patrimonio culturale e sulla necessità di tramandarlo; intende creare un filo che tenga unite le tre sedi espositive e i reperti del passato con opere di arte contemporanea. I curatori, Irene Calderoni, Stefano de Martino, Paolo Del Vesco, Christian Greco, Enrica Pagella, Elisa Panero, si interrogano sul ruolo del patrimonio storico-artistico nei processi di costruzione dell’identità di un popolo e sul ruolo svolto dai musei in questo contesto.
Il titolo dell’esposizione trae origine da un documentario del 1953 realizzato dal regista francese Alain Resnais, che nasceva dalla domanda “Perché l’arte nera si trova al Musée de l’Homme mentre quella egiziana e greca al Louvre”? Il documentario era un chiaro atto di accusa contro il colonialismo e la soppressione delle culture africane ed ebbe grossi problemi di censura, tanto che la prima uscita commerciale del film avvenne solo nel 1964, ben 11 anni dopo.
La tematica dell’arte coloniale è di grande attualità se si pensa che solo pochi mesi fa, il 28 novembre 2017, Emmanuel Macron ha spazzato via in un solo colpo svariati decenni di atti e di discorsi ufficiali francesi in materia di patrimonio culturale e di musei. Infatti in un discorso all’Università del Burkina Faso ha dichiarato: “Appartengo a una generazione di francesi per i quali i crimini del colonialismo europeo sono incontestabili e fanno parte della loro storia”. “Voglio che nell’arco di cinque anni si siano verificate le condizioni per delle restituzioni temporanee o definitive del patrimonio culturale africano all’Africa”. E ancora, su Su Twitter: “Il patrimonio culturale africano non può essere prigioniero dei musei europei”.
Naturalmente le dichiarazioni dell’Eliseo hanno suscitato reazioni di varia natura: a Berlino hanno alimentato una violenta polemica in merito all’amnesia coloniale da cui sembrano essere stati colpiti i progettisti del futuro Humboldt Forum, che dovrà ospitare dal 2019 le collezioni etnologiche dell’antico Stato prussiano.
Se la questione riguarda principalmente Parigi e le sue importanti collezioni d’arte africana, il discorso di Macron impegna anche l’Europa e il substrato coloniale o missionario di tutti i suoi musei etnologici o cosiddetti universali. Dal British Museum (più di 200mila oggetti africani) al Weltmuseum di Vienna (37mila), dal Musée Royal de l’Afrique Centrale in Belgio (180mila) al futuro Humboldt Forum di Berlino (75mila), dai Musei Vaticani al Musée du quai Branly (70mila), la storia delle collezioni extra-euopee, africane in particolare, è una storia europea, un affare di famiglia se si vuole, in cui curiosità estetica, interessi scientifici, spedizioni militari, reti commerciali e “opportunità” di ogni genere hanno contribuito ad alimentare le logiche del dominio, dell’affermazione e delle rivalità nazionali. I musei delle capitali europee sono i depositari della creatività umana, ma anche, non per colpa loro, di una storia più triste e troppo raramente raccontata. Sono stati scrigni e custodi di questi beni ma sono nati anche dalla distruzione e dalla depredazione dei beni stessi.
La mostra Anche le statue muoiono può essere un primo passo per far prendere coscienza al pubblico italiano di queste problematiche. A latere infatti è previsto anche un convegno che coinvolgerà studiosi ed esperti delle varie discipline; essi, a partire dall’esposizione, svilupperanno le molteplici suggestioni che gravitano intorno alla vulnerabilità delle opere d’arte, nell’ambito dell’Anno Europeo del Patrimonio 2018.
Anche le statue muoiono mette in evidenza, da una parte, il tema attualissimo della fragilità, della distruzione sistematica e consapevole del patrimonio culturale, dall’altra, l’importanza della sua protezione. In dialogo si trovano reperti antichi e opere di artisti contemporanei, molti dei quali originari di Paesi in cui i conflitti hanno messo a rischio e talvolta distrutto il patrimonio.
In questa occasione, il Museo Egizio si apre all’arte contemporanea come già era avvenuto nel 1995 con la mostra Time Machine. Antico Egitto e Arte Contemporanea, e nel 2003 con la mostra curata da Giovanna Barbero Ostrakon. La memoria dei tempi, ospitando nove artisti, tra i quali Mimmo Jodice (la sua serie Anamnesi è stata usata come immagine guida del progetto), nonché Kader Attia, la cui opera è esposta nella sala mostre dedicata all’archeologo Khaled al-Asaad, ucciso dall’Isis nel tentativo di difendere il sito archeologico di Palmira.
Alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo si indaga sul presente, riflettendo sul colonialismo, sull’identità nazionale e sulle relazioni tra culture, con le opere di artisti come Mark Manders, Simon Wachsmuth e Lamia Joreige, tra gli altri.
Ai Musei Reali, invece, sono in esposizione reperti archeologici e opere d’arte, dai rilievi assiri alla pittura di Rogier van der Weyden, intrecciati con la spettacolare installazione di Mariana Castillo Deball, Mshatta Façade, del 2014.