La magia innovativa di Merce Cunningham
Febbraio 15, 2001 in Arte da Claris
“Non c’è nessun pensiero nella mia coreografia… Io non lavoro attraverso immagini o idee… io lavoro attraverso il corpo. Se il ballerino balla, il che non è lo stesso dell’avere teorie sul ballo o il desiderio di danzare, tutto è racchiuso là. Quando ballo vuole dire che solo questo è quello che sto facendo.” [trad. C.A.]
Merce Cunningham è considerato il padre della danza contemporanea, colui che, rompendo con ogni convenzione, dal balletto a tema al rapporto riflessivo musica-danza, rigetta l’accezione della scrittura coreografica.
In ogni spettacolo della sua lunghissima carriera, il primo lavoro risale adirittura al 1938 (Unibalanced March), i tre elementi portanti, suono, movimento e immagine, interagiscono in un’inconscia indeterminatezza, al di là di qualsiasi condizionamento storico e culturale. Le coreografie degli anni ’80 rappresentano il culmine del suo atteggiamento tecnicistico: gli elementi scenografici sono ridotti al minimo, o addirittura eliminati del tutto.
Il movimento resta il protagonista assoluto, in tutta la sua più sublime efficienza fisiologica. Il movimento degli attori è puro, spersonalizzato, compiuto in una dimensione che trascende qualsiasi percezione del quotidiano, vicino agli infiniti universi matematici dei frattali, delle onde elettromagnetiche e dei buchi neri. Semmai si può intravedere un’affinità con le mitiche galassie coreografiche di George Balanchine.
Nonostante il successo e i riconoscimenti internazionali, Merce Cunningham continua a suscitare pareri contrastanti tra critici e pubblico. Non potrebbe essere altrimenti per un pioniere di tecniche nuove che hanno radicalmente cambiato il volto della danza moderna. Lui riesce ad eliminare la trama, perfino la musica. Queste assenze sono compensate dal largo uso del computer per montare i suoi spettacoli.
La mostra del museo d’arte contemporanea al castello di Rivoli permette di fare il punto sul percorso artistico dei primi cinquanta anni di carriera di questo inimitabile protagonista della danza moderna contemporanea. La rassegna, curata da Germano Celant con la collaborazione di Melissa Harris e David Vaughan, presenta immagini e oggetti, costumi e disegni, film e video che riflettono la natura innovativa del lavoro di Cunningham, il suo nuovo universo coreografico, ormai parte essenziale della storia moderna della performance.
Nato nel 1919 a Centralia (Washington, USA), Cunningham è stato danzatore solista dal ’39 al ’45 nella compagnia di Martha Graham. Nel ’44 ha presentato a New York la sua prima coreografia, con musica di Cage, e nel 1953 ha fondato la Merce Cunningham Dance Company, per la quale ha sino ad oggi creato circa duecento coreografie.
Negli anni Quaranta ha concretizzato l’idea della danza contemporanea come “a moving image of life”, separando la musica dalla danza e ricorrendo al “chance method”, che comporta il montaggio casuale dei movimenti.
“…Poi, per pura coincidenza, lessi Einstein, dove scrisse che non ci sono punti fissi nello spazio, ed io pensai che quello fosse perfetto per come concepivo lo spazio scenico. Non ci sono punti fissi. Dovunque mi trovo potrebbe essere un centro. Questo è un pensiero buddistico, chiaramente: dovunque mi trovo è il centro, così come dove ciascun altro è. Ciò mi sembrò piuttosto meraviglioso.” [trad. C.A.]
Dopo che il suo linguaggio era entrato in perfetta sintonia con gli artisti emergenti dada e pop, dagli anni Settanta ha utilizzato film e video, computer e realtà virtuale per sperimentare nuove frontiere della danza. Tra i numerosi premi internazionali ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera nell’ambito della Biennale di Venezia del 1995.
Come accuratamente ha scritto Germano Celant nel catalogo della mostra (Charta, Milano), la spinta che ha contraddistinto, sin dagli anni Quaranta, il lavoro di Merce Cunningham è stato “Trovare i limiti della danza”, annullando ogni tradizione e ogni preconcetto, trasformando la danza in qualcosa di impossibile, ma reale.
Cunningham è quindi un iconoclasta delle figurazioni coreografiche, poiché rifiuta un rapporto normale tra musica, danza e arte. Come John Cage rigetta il dover essere della relazione tra movimento danzante e suono musicale che ha sempre illuminato e rivelato il destino tra questi due linguaggi. Con Cunningham la danza rappresenta una sostanza a sé stante, che può viaggiare indipendente dal suono o dall’immagine visuale.
Egli sostiene che a tutte le arti si deve lo stesso onore, vale a dire ognuna é dotata di propria autonomia e di una sua specificità. L’idea che ogni arte rifiuti un simulacro esterno per porsi essa stessa come originale, ovvero la coscienza dell’indipendenza dal reciproco esprimersi, è stata affermata nello stesso periodo da innumerevoli altri mostri sacri: da Erik Satie a Jonh Cage, da David Tudor a Gordon Mumma per la musica, da Robert Rauschenberg a Jasper Johns, da Bruce Nauman a Andy Warhol per l’arte, da Viola Farber a Carolyn Brown, da Steve Paxton a Douglas Dunn per la danza.
Ancora Celant scrive “se la danza per Cunningham è la rappresentazione del tutto possibile, lo è anche dell’impossibile, il tentare di fare quel che non è possibile fare… Il modo di fare è, come in Samuel Beckett, rivolto alla dimensione del fallimento. La speranza è quella di poter scoprire una nuova dimensione del muoversi che sia libero dal tempo e dallo spazio, e soprattutto dal linguaggio della danza”.
Tutta l’avventura di Cunningham, da Idyllic Song (Canto idilliaco) nel ’44 a Hand-drawn Spaces (Spazi disegnati a mano) dell’98, è un pellegrinaggio in cerca del significato della danza. Cunningham continua tuttora la sua ricerca, andando sempre oltre, per trovare altri gesti e altre immagini. Negli ultimi anni egli si è avvicinato al computer per affidare ad una memoria elettronica tutte le possibili combinazioni di movimenti identificate nel corso della carriera e per trovarne altre di imprevedibili, onde ampliare l’universo della danza.
Tutta la ricerca del linguaggio danzante del nostro è incontrollabile e imponderabile e lui la spiega così: “Il mio lavoro è sempre stato un work in progress. Il fatto di terminare una danza è accompagnato dall’idea, anche se spesso ancor vaga, per la danza successiva. Considero una danza come una breve sosta nel cammino”.
Merce Cunningham
Periodo: 30 giugno – 10 settembre 2000
Orario
– da martedì a venerdì h. 10 – 17
– sabato e domenica h. 10 – 19 (primo e terzo sabato del mese h. 10 – 22)
– lunedì chiuso
Sede: Castello di Rivoli – p.zza M. di Savoia – 10098 Rivoli (To)
Ingresso: L. 12.000 intero – L. 8.000 ridotto
Info: tel. 011/956.52.22
di Claudio Arissone