29 maggio 1953 – La prima volta dell’Everest
Maggio 29, 2003 in Viaggi e Turismo da Marinella Fugazza
In questi giorni la cima della montagna più alta della terra è meta di una serie continua di “pellegrinaggi”: alpinisti di tutto il mondo cercano di arrivare sulla vetta nell’anno del cinquantesimo anniversario della sua conquista. L’affollamento è indescrivibile: ogni scalatore cerca di compiere un’impresa che lo contraddistingua da tutti quelli che prima di lui hanno “violato” gli 8.848 metri del del CHOMOLUNGMA “Dea madre del mondo” come la chiamano i tibetani. Quest’anno il richiamo è ancora più irresistibile ed anche Sir Edmund Hillary sarà presente ai festeggiamenti che si terranno a Katmandu, capitale del Nepal, proprio il 29 maggio.
Lo spirito con il quale un neozelandese ed uno sherpa conquistarono l’EVEREST apparteneva ad un tipo di alpinismo classico e puro che non aveva nulla di commerciale e pubblicitario e che non aveva altri fini se non quelli di portare l’uomo sulla sommità del pianeta. Il 29 maggio 1953 alle ore 11.30, Edmund Hillary e Tenzing Norgay legarono per sempre il loro nome e la loro fama internazionale alla conquista dell’Everest.
Il 51esimo FilmFestival di Trento, il primo maggio, ha voluto celebrare l’evento proiettando le pellicole più significative sull’epopea alpinistica della cima himalayana.
”A l’assault de l’inaccessible – Le Mont Everest”, cortometraggio del 1924 che riferisce di una pagina tragica e tristemente famosa dell’alpinismo: la terza spedizione, guidata da Bruce Norton, all’Everest segnata dalla scomparsa sulla montagna di Mallory e Irvine (il corpo di Mallory è stato ritrovato sul ghiacciaio due anni fa). Il breve film ha cercato di documentare in qualche maniera a distanza l’ascesa e l’inutile intervento dei soccorritori e si chiude con le foto dei due alpinisti scomparsi e con una inquadratura della vetta ancora inviolata. Questa testimonianza per immagini, prodotta da John Noel, è custodita, nella sua versione francese, al Museo Nazionale della Montagna di Torino.
”The conquest of Everest”: è la documentazione originale e ufficiale della scalata compiuta nel 1953 da una spedizione inglese comandata dal Gen. John Hunt. Il film è chiamato a celebrare il trionfo britannico in contemporanea con l’incoronazione della Regina Elisabetta II. Alla maniera del film di quell’epoca, ricostruisce meticolosamente gli aspetti della spedizione; mancano le riprese della vetta (dovremo aspettare “Italia K2”, l’anno seguente), il cui raggiungimento è lasciato alla voce di Edmund Hillary ed alla fotografia che ritrae lo sherpa Tenzing immortalato eternamente sempre dallo stesso Hillary con la piccozza sollevata in segno di conquista. La locandina ufficiale di questo lungometraggio è stato adottata come simbolo dell’edizione 2003 del FilmFestival.
Un lungo salto di quarant’anni (1992) porta al film di Michael Dillon, regista australiano che ha legato il suo nome a diverse opere sulla montagna più alta del mondo, tra le quali “Beyond Everest”, dedicato ad Edmund Hillary ed al suo impegno sociale nei decenni successivi alla “conquista” per lo sviluppo delle popolazioni montane himalayane. ”Everest – Sea to Summit”, di Dillon, è un film poetico e romantico che racconta l’avventura dell’alpinista Tim Mccartney Snape; egli vuole raggiungere la vetta percorrendo a piedi, metro per metro, tutti gli 8.848 metri che lo separano dal mare, nella Baia del Bengala, fino alla sommità del mondo. Accompagnato dalla moglie medico, attraversa regioni ed incontra popoli affrontando numerose difficoltà fisiche ed anche burocratiche fino a raggiungere i primi contrafforti himalayani ed il campo base, dal quale circa 4.000 metri lo separano dal sogno. Poi inizia la salita dal ghiacciaio del Khumbu; la moglie Ann seguirà alla radio dal campo base le varie peripezie fino all’emozione del raggiungimento della cima. Il film è ricco di immagini molto suggestive di paesaggi e di persone, la fotografia è molto curata e trasmette la voglia incontenibile di fare le valigie e raggiungere questi posti incontaminati ed ancora puri.
”Into thin Air: Death on Everest”, (1997) dell’americano Robert Markowitz, è un film che racconta, in modo diametralmente opposto a quello del film precedente, lo stile di affrontare la vita e la montagna. Il regista focalizza l’attenzione sulla dilagante “commercializzazione”, così evidente in questi giorni vicini al cinquantenario, che caratterizza ormai una parte degli Ottomila e l’Everest per l’appunto. Tratto dal libro di John Krakauer, Aria sottile, racconta la tragedia di uomini e donne che, in cambio di denaro, pensavano di potere salire agevolmente il colosso himalayano. La realtà si dimostrerà ben più drammatica, lasciando strascichi polemici per anni. Il valore di questo film, è quello di ricordare una pagina tristissima, ma purtroppo reale, nell’evoluzione dell’alpinismo.
”Una storia d’amore con l’Everest” (2003), presentato in prima mondiale nella serata del 1° maggio, è un film del britannico Leo Dickinson e del suo amore per il “gigante”. Il regista riassume la sua passione, filmata in altri sei film precedenti, iniziata nel 1975 quando un giovane medico di nome Mike Jones gli chiede se gli piacerebbe scendere in canoa dal fiume Dudh Kosi, che nasce dal ghiacciaio Khumbu, sull’Everest. ”Dudh Kosi – L’inarrestabile fiume dell’Everest” ha vinto dozzine di premi internazionali, più di qualsiasi altro film di avventura in assoluto, ed è ancora visto nel mondo della canoa come il film più ispirato che sia mai stato girato su quello sport. Il seguente lungometraggio riguardava la scalata invernale della ”Parete Nord del Cervino” che il regista iscrisse al Filmfestival di Trento. Il suo traduttore era Uschi Messner, moglie di Reinhold che stava diventando l’alpinista più famoso del mondo. Uschi convinse Leo a filmare suo marito che avrebbe tentato la salita senza le bombole di ossigeno. ”Everest senza maschera” divenne il film più significativo mai realizzato a proposito dell’Everest. Peter Habeler e Reinhold Messner arrivarono in cima respirando la sola aria rarefatta dei quasi 9.000 metri ed il film su questa impresa, che apriva una nuova era nella storia dell’alpinismo, fu proiettato in quasi ogni parte del globo. ”In pallone sopra l’Everest”: nel 1985 Dickinson tentò di sorvolare la vetta con un team australiano, ma il permesso delle autorità cinesi non arrivò mai. Egli attese pazientemente che il giusto clima politico maturasse, poi organizzò la propria spedizione. Nel 1991 i suoi due palloni presero il volo da Gokyo, Nepal, e sorvolarono la sommità dell’Everest. Fu un atto di fiducia nel proprio equipaggiamento ed un passo da gigante in un’avventura ignota. Il loro atterraggio a precipizio nell’alto deserto del Tibet è uno dei pezzi più memorabili di televisione di sempre, visto da oltre un miliardo di persone (anche in Cina). Nel 1995 Leo ritornò in Tibet per girare un film su Tom Whittaker, un istruttore di roccia disabile privato di una gamba in seguito ad un incidente automobilistico. ”Un piede sulla via per l’Everest” mostrò come fosse possibile ad un alpinista privato di un arto fondamentale raggiungere la cima, anche se Tom si fermò 700 metri più in basso. L’anno seguente ritornò, sul lato nepalese, e raggiunse di fatto la vetta. ”Everest in solitaria al femminile” riprese dal Colle Nord la scalatrice britannica Allison Hargreaves che salì da sola senza l’ausilio dell’ossigeno. ”George Mallory scalò l’Everest!”: quando George Mallory junior scalò l’Everest, Dickinson, per puro caso, era presente in quella zona con la sua macchina da presa!
Tutte le immagini che
scorrono in questi film, le vite degli uomini che vengono narrate, le imprese che sono state compiute e documentate ricostruiscono il “dietro le quinte” di una montagna chiamata EVEREST.
E l’anno prossimo è la volta del K2 e della vittoriosa conquista italiana.
di Marinella Fugazza