Cherubini al Conservatorio
Febbraio 15, 2001 in Spettacoli da Claris
Questa sera al conservatorio per il 712° concerto dalla fondazione, l’accademia “Stefano Tempia” propone due lavori di Luigi Cherubini: sinfonia in re maggiore e Messa solenne in sol maggiore per coro e orchestra (per l’incoronazione di Luigi XVIII).
Non era facile avventurarsi sul terreno della Sinfonia a pochi anni dall’Ottava di Beethoven e a circa vent’anni dagli ultimi capolavori di Haydn. Cherubini fece un solo tentativo in questo campo, con la Sinfonia in re maggiore, commissionata ed eseguita per la prima volta nel 1815 dalla Società Filarmonica di Londra. Nel 1829 la trasformò in quartetto, quasi a conferma – o almeno così parve a molti – della sua scarsa propensione per il sinfonismo.
Tuttavia il lavoro di Cherubini non è privo di originalità né di importanza, anche in quanto è, in quegli anni, tra le poche espressioni italiane del genere. Anche se non vi è un tentativo esplicito di emulazione dei modelli austriaci, dai quali anzi Cherubini si distacca per un uso del contrappunto molto più “leggero”. Gli echi haydniani non sono pochi, e già Robert Schumann aveva trovato nel primo movimento alcune somiglianze con il primo movimento della Quarta di Beethoven.
Come quest’ultima, e come molte composizioni di Beethoven e di Haydn, la Sinfonia di Cherubini si apre con un’introduzione lenta, la cui tensione si scioglie in un Allegro dove, come in tutta la composizione, sono gli archi a condurre il discorso, mentre ai fiati – i cui interventi solistici sono ben rari – sono affidate funzioni prevalentemente timbriche. Chiude un Allegro assai ancora in forma sonata.
Certo non si può dire che la Messa in sol maggiore, che viene ora eseguita a Torino per la prima volta, sia tra le composizioni sacre più fortunate di Luigi Cherubini.
Commissionata e ultimata nel 1819 per un’incoronazione mai avvenuta, quella di Luigi XVIII sul trono di Francia (il quale fu trattenuto – forse – dalla consapevolezza dell’inopportunità di una simile cerimonia, che celebrava di fatto la restaurazione dei Borboni), fu dimenticata in un cassetto fino al 1867, quando l’editore Richalt ne pubblicò una riduzione per canto e pianoforte.
Bisognerà aspettare fino al 1985 per la pubblicazione della partitura, a cura di Giovanni Carli Ballola (Roma, Boccaccini e Spada), e fino al 1987 per la prima esecuzione, avvenuta a Roma.
Se a un primo approccio superficiale, l’opera testimonia chiaramente del suo intento celebrativo (e d’altronde il direttore della Chapelle du roi non poteva fare altrimenti), l’ispirazione che la anima va ben oltre l’occasione, e ne fa un lavoro degno di stare accanto alle grandi opere sacre di Cherubini.
I momenti in cui prevale il lato mondano della celebrazione ci sono, certo, ma c’è qualcosa di più: è un’inquietudine che va ben più nel profondo, ed è soprattutto un’attenzione estrema alla parola del testo sacro e alla sua fedele traduzione musicale.
Come una marcia funebre esordisce il Qui tollis, in un do minore che ricorda alcune delle più intese pagine mozartiane, con frasi spezzate e figure discendenti simili al barocco “ritmo della pena”.
La supplica si intensifica e si fa ancor più drammatica verso la fine dell’episodio, dopo il quale torna il clima dell’inizio con il Quoniam, cui si intercala il fugato del Cum sancto spiritu; nella seconda ripetizione del Quoniam un altro passo colpisce, ed è il momento in cui l’esuberanza del tutti di orchestra e coro si arresta di colpo alle parole Jesu Christe.
Qui Cherubini costruisce un breve corale, appena sorretto dal solo quartetto d’archi, quasi non volesse distrarre l’attenzione dalle parole.
La stessa volontà di adesione costante al testo è evidente in tanti passi del Credo, al di là dei consueti “madrigalismi” come le figurazioni discendenti su descendit de coelis o quelle ascendenti su ascendit in coelum.
È come se Cherubini volesse condurre una sua meditazione personale e religiosa sulla morte, vista come passaggio verso una dimensione diversa – e gli archi che, sempre e soli, accompagnano questi momenti, non possono non ricordare quelli che in tanti passi delle Passioni di Bach circondano le parole di Cristo.
di Claris