Cesare Pavese: ricordi e “dialoghi”
Febbraio 17, 2001 in il Traspiratore da Redazione
1950, 27 agosto: in una calda serata di fine estate Cesare Pavese poneva fine alla sua tormentata esistenza, appena due mesi dopo la consacrazione del Premio Strega per il romanzo “La bella estate”. A ricordarlo, alla Fiera del Libro, sono stati i migliori nomi del mondo della cultura torinese, dai professori Gian Luigi Beccaria e Marziano Guglielminetti, ai giornalisti Nico Orengo, Giovanni Tesio, Lorenzo Mondo.
Quest’anno Pavese è più che attuale, non soltanto perché ne ricorre il cinquantesimo anniversario della morte, ma soprattutto perché esso coincide con l’inaugurazione del Nuovo Centro Studi Pavesiano, che verrà aperto al pubblico il 1° luglio prossimo, dopo la parziale rovina arrecata dall’alluvione del ’94.
“Avevo tredici anni, racconta commosso Bruno Gambarotta, che ha presentato il convegno, quando lessi, un lunedì dell’agosto 1950, su “Stampa Sera”, la notizia della morte di Pavese. Lo considero una sorta di capro espiatorio, in un’epoca di ferro come era la sua; attraverso le sue opere siamo riusciti a scoprirci meglio. Ricordo che il primo libro che comprai, a rate, al banchetto dell’Unità, è stato “Mestiere di vivere”. Quando mi chiedono di spiegare cosa voglia dire essere piemontesi, ricordo che Pavese, andando al lavoro alla casa editrice Einaudi, trovò, il giorno successivo ai bombardamenti che la colpirono, i calcinacci sulla sua scrivania: con un gesto della mano li fece cadere e ricominciò a lavorare. In questo consiste la piemontesità”.
Di lui ci ha fornito un ricordo anche Mario Bandaro, fotografo: “A Milano eravamo un gruppo di amici che si riuniva fino all’alba a discutere su Pavese. Quella di oggi non ritengo sia solo una rievocazione; rileggendo in questi giorni “La luna e i falò” ho scorto un passaggio sull’America che è attualissimo. Le fotografie di Pavese sono ciascuna una chiosa dell’opera pavesiana: dentro ogni foto vi è un aspetto della vita dello scrittore”.
“E’ da cinquant’anni che Cesare Pavese è morto suicida e da poco più che è morto suicida Majakovskj: tutti e due ebbero come amori attrici e cantanti, afferma Cesare Segre. L’ultima sera della sua vita l’attrice che Majakovskj chiamò non salì nella sua camera, destino analogo a quello di Pavese.”
Sulla copia dei “Dialoghi di Leucò” Pavese scrisse “Chiedo perdono a tutti, non fate troppi pettegolezzi”. La morte dell’intellettuale russo è avvenuta alla fine del primo quarto del secolo, quella di Pavese alla fine del secondo quarto. Quando lo scrittore compose la sua ultima lettera aveva sicuramente in mente quella di Majakovskj. Nel “Mestiere di vivere”, quando scrive, anticipatamente, il consuntivo del 1950, ha già pronte le pastiglie del sonnifero che lo avrebbe liberato dalla agonia del vivere. All’opera premise un’indicazione cronologica (1935-1950), che indica la decisione di annullare la sua esistenza. Già l’8 agosto Pavese scriveva a una donna: “Cara, sei forse la migliore, quella vera. Non ho il tempo di fartelo sapere…”. Nessuno conosce cosa sia passato nella mente di Pavese tra il momento di questa dichiarazione e la morte.
Per lo scrittore fu anche fondamentale il rapporto con la casa editrice Einaudi, che iniziò quando egli era ancora studente. Pavese era del 1908, Giulio Einaudi del ’12. Le loro classi e quella del ’10, con Leone Ginzburg e Norberto Bobbio, erano legate dalla figura del medesimo professore, Augusto Monti, che riuniva insieme gli studenti migliori, per farli discutere su temi comuni. Erano le cosiddette “riunioni del mercoledì”, dove ognuno era responsabile di un particolare settore, anche se le decisioni venivano prese collegialmente.
La casa editrice Einaudi nasce proprio da questo spirito: Leone Ginzburg e Cesare Pavese diventano i due direttori della casa editrice. Talora aveva Leone la preminenza, tal altra l’aveva Pavese. Erano due personaggi complementari e diversi; nella dualità Ginzburg fu il polo della continuità con l’Ottocento, il fondatore della prima collana di saggistica, nel 1935, di carattere storico; i suoi interessi erano tutti volti all’epoca risorgimentale. Pavese, invece, era rivolto all’America; profondo conoscitore della letteratura americana, fu il suo ponte verso l’Italia. Furono uniti da un destino simile anche nella morte: Ginzburg morì a Regina Coeli nel ’44, per le torture naziste, quale eroe risorgimentale. Pavese morì come eroe dell’inquietudine.
Fu Pavese il grande innovatore della casa editrice Einaudi, che, al momento della fondazione, da parte di Giulio, nel 1934, si volle subito differenziare dalla Laterza.
Pavese, negli anni Sessanta, fu scelto come bandiera dei giovani di allora, anche per il suo americanismo, che non fu mai, però, banale tributo a scrittori importanti, come Hemingway. La sua Europa non fu mai mitteleuropea, piuttosto trasse ispirazione dalla realtà elisabettiana.
Il Premio Grinzane Cavour rinnova quest’anno il Premio Pavese e indice un concorso dal titolo “Dialoghi con Pavese”, per ricordare lo scrittore a cinquant’anni dalla morte. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con il Cepam, Centro Pavesiano Museo Casa Natale, il Comune di Santo Stefano Belbo, e Giulio Einaudi editore. Il concorso si divide in due sezioni: la prima, giovani, fino ai venticinque anni; la seconda, adulti, oltre i venticinque.
I partecipanti devono far pervenire un testo creativo in prosa di quarantacinque righe di sessanta battute entro il 10 luglio del 2000, indirizzandolo al Premio Grinzane Cavour “Dialoghi con Pavese”, via Montebello 21- 10124 Torino. Sarà una giuria di scrittori e intellettuali presieduta da Lorenzo Mondo e composta da Gian Luigi Beccaria, Marziano Guglielminetti, Nico Orengo, Giuliano Soria e Giovanni Tesio, a scegliere i due migliori elaborati per sezione, che saranno poi pubblicati su “La Stampa” nell’autunno prossimo, ricevendo un premio di tre milioni di lire ciascuno. Le celebrazioni pavesiane avranno luogo a Santo Stefano Belbo il 26 e 27 agosto prossimi.
Premio Grinzane Cavour
via Montebello, 21 – 10124 Torino
di Mara Martellotta