Il quarto secolo

Aprile 25, 2004 in Libri da Stefano Mola

Titolo: Il quarto secolo
Autore: Édouard Glissant
Casa editrice: Edizioni Lavoro
Prezzo: € 9.00
Pagine: 299

Il quarto secoloSe parliamo di epica, che cosa ci viene subito in mente? In primo luogo, alcuni nomi come Virgilio, Omero, Tasso. Che cosa rappresentano le loro opere? Non è sbagliato dire che sono stati dei momenti fondanti per la civiltà e al tempo stesso dei paradigmi. Hanno creato mondi e storie che hanno ispirato modelli e comportamenti, hanno raccontato un nucleo di civiltà, quindi una visione del mondo. Il cantore epico può essere visto come l’espressione di una collettività etnica, e le sue parole la rivelazione di un’antica sapienza poetica. Da questo punto di vista è significativo il lungo interrogarsi sulla vera identità di Omero, come se fosse davvero importante conoscere la sua vera identità ed esistenza. Paradossalmente, e in modo forse un po’ forzato, possiamo affermare che un popolo esiste quando è in grado di raccontarsi, trovando nelle storie una struttura precisa, e riconoscendosi quindi in un’identità.

Che senso può avere ai giorni nostri l’epica? Hegel nell’estetica ne rileva il carattere nazionale, antagonistico nei confronti delle culture esterne, precisando che tuttavia che può nascere soltanto da un individuo capace di esprimere una condizione originariamente poetica ed eroica del mondo, una totalità che è ormai andata perduta nella moderna età prosaica delle industrie e dei commerci: al genere antico si sostituisce l’epica borghese del romanzo.

Tutta questa lunghissima premessa sta forse a significare che il libro di Édouard Glissant è epico? In un certo senso si. Nell’unica accezione in cui questa parola può forse essere ancora declinata oggi. Se l’epica è un momento fondante nella storia di un popolo, può avere senso per quei popoli che non sono ancora stati raccontati, cui è stata negata per lungo tempo la possibilità non solo di essere soggetti ma anche autori di una narrazione. Da questo punto di vista, tanto per essere concreti, possiamo sorprendentemente considerare I figli della mezzanotte di Salman Rushdie un libro epico. Racconta la storia dell’India moderna attraverso la vita di un bambino che nasce esattamente allo scoccare dell’indipendenza.

Un’operazione simile, pur con strumenti e toni assai diversi, è quella fatta da Glissant ne Il quarto secolo. In questo libro viene, infatti, raccontata la storia della Martinica a partire dall’arrivo della prima nave negriera fino al termine della seconda guerra mondiale. Lo fa attraverso l’intrecciarsi di due destini: quelli degli schiavi che restano nelle piantagioni, e quelli che scelgono di scappare sulle alture. Come paradigma di questa biforcazione, due famiglie: i Longoué e i Béluse. Singolarmente, il bivio nasce già sulla stessa nave: dove i due capostipiti si odiano e vengono a un violento corpo a corpo poco prima della vendita. Uno dei due però, appena dopo lo sbarco, riuscirà a fuggire, rifugiandosi sulle alture.

I discendenti delle due famiglie variamente si sfioreranno nei secoli irrimediabilmente attratti e respinti. La narrazione si sviluppa originandosi al presente, nel dialogo serrato tra due esponenti delle famiglie: il vecchio, saggio Papà Longoué, e l’irruente giovane Mathieu Béluse, che lo incalza nella volontà di capire le motivazioni dell’odio primigenio. Già questa impostazione è interessante, per lo scorrere dell’antagonismo e della violenza anche all’interno stesso della popolazione arrivata là con la violenza.

I personaggi sono come scolpiti come nel marmo, dotati di una forza problematica, animati da un respiro epico eppure alieni da ogni pesantezza retorica. Qui sta il grande merito dell’opera di Glissant: porre in modo problematico, girando al largo da schemi prevedibili, la questione della storia, dell’evoluzione di una certa condizione umana, date certe condizioni al contorno. Non è una denuncia esplicita della schiavitù, almeno non è questo l’intento scoperto e primario. Questa viene da sé, come una specie di corollario naturale e necessario. Il libro è un viaggio nel mistero del passato, un tentativo di spiegazione, un’interrogazione carica della consapevolezza della sua dimensione inconoscibile: E quando dici il passato, come fai anche solo a sapere che c’è un passato, quando non vedi la violenza senza causa piantata nel suo cuore come un figuier maudit? Perché il passato non è in quel che conosci con certezza, è anche in tutto quello che passa come il vento e nessuno può serrare tra le mani chiuse [pag 147].

di Stefano Mola