Al brunch con Leroy Jones
Luglio 1, 2004 in Musica da Claris & Momy
ll brunch, nato negli USA intorno agli anni ’70, inizia finalmente a spopolare anche in Europa, rompendo gli schemi tradizionali dei tre pasti al giorno, ovvero colazione, pranzo e cena. Brunch infatti è la contrazione delle due parole inglesi breakfast (prima colazione) e lunch (colazione, pranzo). Un pasto unico, da consumarsi tra la tarda mattinata e il primo pomeriggio, possibilmente in compagnia, possibilmente con una musica di sottofondo.
Ad Ascona, fino allo scorso anno, l’opportunità di iniziare le quotidiane maratone musicali all’insegna dell’ottima musica e del cibo raffinato mancava all’interno del panorama del Festival Jazz. Fortunatamente ci ha pensato la deliziosa ‘padrona di casa’ dell’Hotel Tamaro che ha avuto la brillante idea di coniugare questo appuntamento innovativo con uno dei protagonisti assoluti del jazz mondiale. Tutti i giorni infatti, nell’incantevole patio coperto dell’hotel, simile ad un giardino tropicale, dalle 11 alle 13 si esibisce quello che la critica definisce, a ragione, l’erede di Louis Armstrong: Leroy Jones da New Orleans, classe ’55, trombettista .
L’idea, come la signora stessa ci conferma è nata da una collaborazione tra il nostro hotel e la nuova organizzazione del Festival, molto pronta nel recepire proposte innovative. Inoltre – prosegue con simpatia – la mia idea iniziale era quella di organizzare un concerto serale, a partire dalle 23, ma visto che anche il locale vicino aveva la stessa intenzione, ho pensato ad organizzare qualcosa di diverso….
L’operazione, a nostro parere, è perfettamente riuscita. Sicuramente il luogo si presta a questo genere di iniziative: l’hotel , infatti, è ubicato in due antiche case patrizie di Ascona, rimesse a nuovo con tutti i comfort più moderni; dai terrazzini delle stanze si gode un’incantevole vista lago, la cucina è raffinata, la cantina ben fornita, il personale gentile e disponibile…
Ed eccoci alle 11.00 di mattina: il brunch inizia con un buffet di antipasti di tutto rispetto, sushi, salmone affumicato e bollito, prosciutto crudo, coppa, salame, spiedini di olive e mozzarelle, roastbeef all’inglese, arrosto di tacchino, peperoni ripieni… Intanto la voce ancora leggermente roca ed assonnata del mito Leroy in dieci minuti netti si scalda e, con la sua straripante personalità, regala due ore di energiche e straordinarie interpretazioni strumentali e vocali (All of me su tutte) ben accompagnato dal suo quintetto. Il bicchiere del delizioso prosecco si svuota proprio quando la band di Leroy arriva a metà concerto, per prendersi 10 minuti di meritata pausa. Quale occasione migliore del break per rivolgere qualche domanda al protagonista assoluto della scena, tra l’altro eletto dalla giuria dei giornalisti accreditati miglior artista del Jazz Ascona festival nel 2003?
Che cosa è per te il jazz?
Il jazz è l’espressione fisica dello spirito, è improvvisazione, è senso di libertà e semplicità al tempo stesso.
Tu sei un habitué del Jazz Ascona festival… quest’anno lo staff organizzativo è stato rivoluzionato: quali differenze percepisci?
Intendiamoci, il mio rapporto con Karl Heinz Ern era ed è rimasto ottimo, ma penso che le novità che sono state introdotte in questa edizione siano molto importanti per far crescere ancora di più la popolarità di Ascona Jazz. Inoltre il nuovo direttore, Nicolas Gilliet, oltre ad essere un mio grande amico, è un valido musicista, quindi ha la giusta sensibilità per organizzare al meglio un festival che, a mio giudizio, è uno dei più importanti del mondo, non solo d’Europa. Mi preme anche sottolineare che il pubblico di questo festival è favoloso, preparato e competente, ovvero viene per ascoltare la musica, non solo per sentirla passeggiando mentre trascorre una serata in compagnia.
Anche il cartellone artistico è stato parziale rinnovamento…
Vero, e nella giusta direzione, non dimentichiamo infatti che il jazz è univoco, e non è sempre giusto categorizzarlo tra dixieland e tradizionale. Quello che conta è lo swing che lo caratterizza, così come la capacità di improvvisazione dei musicisti, che rappresenta la vera anima di questo tipo di musica. Essere jazzisti oggi non significa copiare passivamente lo stile di sessanta o settanta anni fa, ma interpretare le lezioni dei grandi del passato in maniera personale.
E’ questa la strada giusta per avvicinare il jazz ai giovani?
Sicuramente sì. E’ la stessa che perseguo in ogni esibizione col mio quintetto, proponendo un jazz tradizionale energico e spontaneo, con influenze swing e funk coinvolgenti, che offrono sensazioni vitali. Tra i gruppi presenti ad Ascona quest’anno, apprezzo molto, per gli stessi motivi, i finlandesi Spirit of New Orleans, che sanno regalare mille emozioni con i loro suoni che attraversano il tempo e che riescono a trasmettere grande appeal tra i giovani.
E tra i mostri sacri del festival, chi apprezzi di più?
Indubbiamente Red Holloway, vero mito vivente del sax.
Sei stato più volte paragonato alla tromba più leggendaria del jazz, l’inarrivabile Louis Armstrong. Che cosa ti manca per essere come lui?
Ovviamente non posso che essere orgoglioso di questi giudizi. Se da una parte mi sembrano esagerati, dall’altra, però, preferirei che la gente giudicasse i miei suoni e la mia voce in maniera indipendente, senza fare paragoni con un artista che anch’io reputo grandissimo, ma che in realtà non cerco di imitare o di copiare, in quanto voglio far emergere il mio personale stile.
Chiacchierata veloce, perché il concerto ricomincia, e così il brunch, con i piatti caldi, tagliatelle al pomodoro fresco, scaloppine con champignon e frittata di patate, ed infine, sulle note di When the saints go marchin’in, coi dolci (plum cake, anguria, frutta secca, tiramisù e una deliziosa torta con cioccolato e noci), per rendere ancora più dolce una meravigliosa giornata tra swing spumeggiante e cielo azzurro.
di Claudio Arissone & Monica Mautino