Acchiappatalenti on the road
Agosto 1, 2004 in 006 da Redazione
All’improvviso, nella calda serata di Collegno, arriva un Vento d’estate: è il segnale che Max Gazzè sta per mettere piede sul palco. Un boato si alza dal pubblico – per la verità non molto numeroso, ma comunque scatenato – e parte la famosa hit, che il musicista romano suonò per la prima volta nel 1998 insieme a Niccolò Fabi.
Il concerto (per la rassegna «Colonia Sonora») dura un’ora e mezza: in una scenografia “psichedelica” – tubi di plexiglass trasparenti, pieni di fumo e illuminati con luci multicolori, pendono sulle teste di Max e della sua band – Gazzè si lancia nei suoi pezzi più famosi, fra cui La favola di Adamo ed Eva (tratto dall’omonimo album), Una musica può fare (presentata al Festival di Sanremo 1999 nella Sezione Giovani), Raduni Ovali, Il timido ubriaco (anch’essa cantata all’Ariston), Quel che fa paura (da «Contro un’onda del mare»).
Ampio lo spazio dedicato, poi, all’ultimo album (Un giorno, uscito il 9 aprile scorso): Max – grondante di sudore anche a causa della sua voluminosa zazzera di capelli – ha intonato Annina, La nostra vita nuova, Pallida (scritta con Daniele Silvestri). Il concerto si è chiuso con un pezzo che più azzeccato non poteva essere: Buonanotte.
Chi lo sa, forse un invito alla gente – che continuava ad acclamarlo – ad andare presto sotto le coperte. Ma il cantante non è riuscito a liberarsi facilmente dei suoi fans, che lo hanno aspettato a lungo per fare foto e chiedergli autografi. Ha colpito tutti la sua gentilezza e la sua semplicità. Qualcuno gli ha persino chiesto se aveva voglia di andare a prendere una birra e lui ha risposto: «Perché no, ora sento cosa ne pensano i Peng», vale a dire i suoi compagni di tour alla batteria, alle chitarre, al basso e alla tastiera.
Un grande artista, Max Gazzè, che si è fatto da solo dopo una lunga gavetta: nato a Roma, si è trasferito giovanissimo a Bruxelles per studiare musica. Da qui si è poi spostato nel sud della Francia, dove è stato bassista, arrangiatore e coautore dei 4 Play 4, un gruppo soul inglese. Rientrato in Italia, si è dedicato al suo piccolo studio di registrazione e alla composizione di colonne sonore. E poi… il successo!
Max però conosce bene le difficoltà dei giovani musicisti ad emergere. Ecco perché ha deciso di diventare un «acchiappatalenti on the road», ossia di raccogliere i Cd delle aspiranti star al termine dei suoi concerti, per ascoltarli e segnalarli a dei talent-scout.
A proposito di questa iniziativa, abbiamo fatto a Max qualche domanda:
Come è nata l’idea dell’«acchiappatalenti on the road?
Me lo hanno proposto a Radio 1, quando sono stato ospite di Demo. Mi hanno detto che avrei potuto raccogliere Cd, fare una selezione fra quelli che mi piacevano di più e poi farli ascoltare a loro. Ho detto sì, anche perché ad ogni concerto ricevevo già molti Cd.
Nel tuo ultimo album c’è una forte impronta live. Qual è il bello del cantare dal vivo, piuttosto che in una sala di registrazione?
Il live è pane quotidiano per ogni musicista, è nel suo DNA. Il bello di cantare dal vivo è che ti senti gratificato per ciò che hai scelto di fare nella vita, nel mio caso cantare. È il punto d’arrivo di tanti sacrifici.
Tu hai suonato molti anni all’estero. Per un aspirante musicista è più facile sfondare in Italia o in un altro Paese?
Le culture musicali sono differenti. Forse in Germania è più facile perché c’è più curiosità per la musica: i tedeschi vanno spesso nei club per ascoltare anche artisti che non conoscono. In Italia si va ai concerti di chi già si conosce.
Hai cantato con Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Paola Turci, Carmen Consoli e altri grandi artisti. Con chi c’è più feeling (musicalmente parlando, s’intende)?
Mi sono divertito con chiunque, con ognuno in maniera diversa. È però sempre più difficile incontrarsi anche perché non faccio più molta vita mondana, avendo famiglia.
Auguri, allora, a Max, sia come artista, sia come papà
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di agente Davide Prette