Lavorare con lentezza
Ottobre 3, 2004 in Cinema da Redazione
Titolo: | Lavorare con lentezza |
Regia: | Guido Chiesa |
Con: | Tommaso Ramenghi, Marco Luisi, Claudia Pandolfi, Valerio Mastrandrea e Valerio Binasco |
Girato: | Italia 2004 |
A sei anni di distanza da “Radiofreccia” la Fandango di Domenico Procacci ritenta l’impresa di raccontare la storia di un gruppo di ragazzi prendendo come punto di partenza una radio libera. Stavolta lo script – imbastito dal regista Guido Chiesa in collaborazione con il collettivo Wu Ming – affonda le proprie radici nel reale, nella vicenda di Radio Alice, emittente radiofonica bolognese attiva dal gennaio del 1976 fino al marzo del 1977. Protagonisti della vicenda sono Sgualo e Pelo, due giovani disoccupati della periferia bolognese che bazzicano il bar del quartiere e che per ovviare alla cronica mancanza di lavoro portano a termine qualche lavoretto per Marangon, un ricettatore locale.
Marangon ha in mente un piano: scavare un tunnel nel sottosuolo del centro per espugnare la Cassa di Risparmio di Piazza Minghetti. I due ragazzi iniziano a lavorare accompagnati dalla musica e dalle parole di Radio Alice e una sera decidono di andare alla sede dell’emittente. Il contatto con i fermenti politico-culturali e la possibilità inebriante di una comunicazione libera farà cambiare loro prospettiva sul mondo e sulle persone. Ma la sfida rappresentata da questi giovani che rifiutano il lavoro e le istituzioni e che non sognano il posto fisso, la famiglia e il consumismo, èn troppo rischiosa per un sistema vacillante. E il sogno precipiterà nell’incubo di una guerriglia urbana senza ritorno.
Chiesa che debuttò nel 1991 con “Il caso Martello” e nel 2000 portò la lotta partigiana sullo schermo con “Il partigiano Johnny” è regista con alle spalle una lunga esperienza in campo documentaristico. In “Lavorare con lentezza” Chiesa dimostra di essere un buon direttore di attori, specialmente quando vi è da caratterizzare i personaggi secondari. Valga per tutti l’esempio di Valerio Binasco, gangster ruvido e filosofo che conquista da subito la (sempre amorale) simpatia dello spettatore. Il suo Marangon e il tenente Lippolis interpretato da Valerio Mastrandrea sono le figure che più rimangono impresse di questo film che è – e vuole essere – corale. Con tutti i difetti che un film corale può avere. L’esasperazione dei contrasti, il cinema urlato, il piacionismo giovanilistico, le musichette “cool”, un po’ di megliogioventù qui, un po’ di radiofreccia là, all’inizio un po’ di bianco e nero in stile dopomezzanotte. Nel cinema italiano gli ingredienti sono pochini e le ricette hanno spesso lo stesso sapore. Il sapore uniformato del supermercato, più di quello del droghiere sotto casa tanto per citare Welles.
«Con questo film – ha spiegato Guido Chiesa nella conferenza stampa di presentazione del film – volevo entrare nella storia di Radio Alice in maniera obliqua. Non volevo fare il santino di questa radio, né proporre una storia articolata secondo il tradizionale andamento della narrazione. Non si può più raccontare la realtà in maniera lineare, seguendo la vicenda dal punto di vista di un solo personaggio. Ci sono troppe componenti in gioco. Ho ammirazione per chi riesce ancora a farlo, io non ci riesco. Lavorare insieme al collettivo Wu Ming mi ha aiutato a distaccarmi dall’idea dominante che il regista sia il “padrone” del proprio film. Il film è un’opera collettiva e iniziare a lavorare collettivamente già in fase di scrittura ha massacrato il mio “ego”, è stato un importante bagno d’umiltà anche nelle successive fasi della lavorazione».
«Quando ci è stato proposto di collaborare alla stesura di questo film noi non volevamo fornire l’esatta filologia degli eventi del 1977 – ha spiegato un rappresentante del collettivo Wu Ming -. Spulciando fra i giornali dell’epoca ci siamo imbattuti nella storia di questa rapina e abbiamo deciso di inserirla nella storia anche per la sua solida valenza metaforica: ci è sembrato che i grandi fermenti politici e sociali della superficie si rispecchiassero nella vicenda di questo tunnel scavato sottoterra per guadagnarsi una vita migliore».
di Davide Mazzocco