Detours – Oltre il concorso
Novembre 22, 2004 in Spettacoli da Redazione
Dopo le polemiche legate alla selezione della scorsa edizione del Festival, il tandem Turigliatto-D’Agnolo Vallan ha deciso di eliminare il concorso cortometraggi. Ma cancellare del tutto un formato che ha dato comunque un grande contributo al Festival sarebbe stato un crimine che i due condirettori del festival non si sono sentiti di compiere. I cortometraggi di fiction sono dunque confluiti nella sezione Detours che quest’anno – nella sua speciale sottosezione – ha concentrato la propria attenzione sulla cinematografia cinese.
Il lungometraggio Good morning, Beijing di Pan Jianlin, claustrofobia storia di gangster e prostitute nella Pechino del miracolo economico cinese, e una decina di corti e mediometraggi hanno tastato il polso a una cinematografia in continua evoluzione ormai libera dai condizionamenti del passato.
Per quanto riguarda i cortometraggi, in molti casi – non ce ne voglia Tonino De Bernardi, improvvisatosi in sala come lo strenuo difensore di un cinema anticinematografico – si è rasentata la presa in giro dello spettatore. E’ il caso di Travis di Kelly Reichardt (ahinoi una giurata del concorso più importante!) astratta fusione di immagini e frammenti sonori di un’intervista rilasciata dalla madre di un soldato morto in un’operazione di sminamento in Iraq. La cosa, ovviamente, l’abbiamo scoperta spulciando catalogo perché nel film non venivano forniti i mezzi per comprendere questo corto che non sfigurerebbe in un festival di videoarte, ma che non ha ragione d’essere in una rassegna che è in Italia è seconda solamente a Venezia. Lasciano perplessi anche Visitors di Stephen Dwoskin e Soul Dancing di Kiyoshi Kurosawa. Il secondo regista dotato di uno straordinario talento per il lungometraggio, non riesce a esprimersi nella dimensione. Il cinema di Kurosawa è fatto di attese, pause, di un meditatato gioco di sottrazioni che non trova compimento nel breve volgere di un quarto d’ora. Fa sorridere la bagattella inventata da Ciprì e Maresco L’Opé incatenato, un omaggio neanche troppo implicito a La strada di Federico Fellini. Qui un maldestro Zampanò di nome Opé non riesce a spezzare le catene che lo tengono imprigionato. In Nietzsche em Nice Julio Bressane torna sulle tracce del filosofo tedesco con un corto che è ideale continuazione di Dias de Nietzsche em Turin.
Quattro i cortometraggi provenienti dalla Francia. La peur, petit chasseur di laurent Achard è un lungo piano sequenza a camera fissa di grande tensione narrativa. Un bambino, una madre e un cane in un giardino. Sullo sfondo una casa che è teatro di violenze invisibili. A dominare è il fuoriscena, ciò che sta fuoricampo. E che non può essere detto. Sperimentali, legati da una ricerca di livello formale sono You should be the next astronaute di Charles de Meaux e Atomic Park di Dominique Gonzalez Foerester. La petite chambre di Elodie Monlibert e la storia di una ragazza che si introduce in una casa durante una festa e lì vive abusivamente all’insaputa degli abitanti dell’appartamento.
Dalla Corea arrivano i cortometraggi più interessanti, tutti prodotti dalla Kofic ente che finanzia i giovani registi emergenti dell’unica cinematografia al mondo che riesca con il proprio mercato interno a contrastare lo strapotere statunitense. Tropical night di Ha Seong-Sil è la storia di due solitudini. Quella di una donna scampata a un incidente che veglia il marito incosciente in un letto d’ospedale e quella del portiere dell’albergo in cui la donna riposa che continua a telefonare a qualcuno che non risponde. Time machine di Lee Won –Sik è la storia di un amore finito. Uno struggente e poetico addio che si consuma al confine fra le due Coree. The story of my mother di Choi Hyo-Ju è un delicato ritratto familiare contraddistinto dalla commistione del documentario a immagini animate.
di Davide Mazzocco