Le miniere del Beth
Dicembre 17, 2004 in Spettacoli da Claris
Le statistiche annuali dei morti in miniera sono tali da considerare il lavoro sottoterra ancora oggi uno dei mestieri più pericolosi e potenzialmente fatali per la vita umana. Soprattutto in Cina ed in altri paesi meno sviluppati, le condizioni di lavoro e di vita di tale categoria sono disumane. Ma lo erano fino al secolo scorso anche in Europa, in Belgio, come in Inghilterra, come in Italia. Facile dunque che le tragedie legate a questa tipologia di lavoro abbiano sempre rappresentato perdite collettive enormi.
In Piemonte, il destino beffardo ha causato una sciagura immane, proprio cento anni fa, agli uomini delle miniere. Sì, qualsiasi dramma collettivo è beffardo e molte volte evitabile con precise attenzioni sociali, ma a Beth il contrappasso subito ha avuto dell’incredibile. Infatti la catastrofe non è successa in basso, nelle viscere della nostra madre terra, dove alla luce di fioche lampade sull’elmetto i minatori trascorrono ore di sforzi fisici enormi, bensì ha colpito dall’alto, non lasciando scampo a 81 eroi del lavoro quotidiano.
Era esattamente il 19 aprile 1904, una valanga sconvolse la vita di Beth, la comunità di Pragelato e gran parte della Val Chisone, abbattendosi sulle capanne dei lavoratori della miniera del Beth.
La cava, posta a quota tra i 2.300 e 2.850 metri, era uno dei cantieri estrattivi più alti d’Europa. Un’enorme massa di neve, prorompente, bianca e grigia, scivolò giù dalle cime del Ghinivert, raggiungendo le miniere del Beth e distruggendo tutto quello che trovò sul suo percorso, tra cui il rifugio dei minatori.
Erano state prese tutte le precauzioni di norma? Sarebbe stato più sicuro costruire altrove l’edificio, in un luogo meno esposto? In poche parole, la sciagura era evitabile? Tutte domande lecite, ma le cui risposte non consolano nessuno, se mai aumentano la rabbia del dopo. Quello che consola è il ricordo della vita di chi non c’è più, delle azioni eroiche, la ricostruzione dei sentimenti in un quadro sociale povero, di inizio secolo, ma già schiacciato da forti trasformazioni, in cui il fervore industriale iniziava a minacciare la quiete secolare di mestieri ed abitudini protrattesi per centinaia di anni.
E di questo si parla ne Le miniere del Beth – La memoria, le tradizioni, il lavoro e i cambiamenti, spettacolo teatrale nato da una ricerca e da un ascolto approfondito del territorio. Attraverso musica, costumi e movimenti, il gruppo di lavoro composto da abitanti delle valli, attori professionisti e ragazzi accompagna gli spettatori in un emozionante viaggio per scoprire il futuro ritrovando il passato.
Il progetto è nato coinvolgendo inizialmente la scuola elementare di Pragelato e, il 17 aprile 2004, 31 allievi sono andati in scena, con un lavoro teatrale il cui scopo è stato quello di ricordare l’accadimento. Questo è stato possibile attraverso una ricerca, uno studio delle condizioni di vita di allora e degli usi, che ha permesso la ricostruzione imparziale dell’avvenuto. Dal laboratorio con i ragazzi e dalla produzione di materiale documentale, si è passati all’incontro con gli abitanti di Pragelato. Si è così aperto un cantiere artistico, nel quale si è svolto un laboratorio teatrale al fine di rimettere in scena la storia. Lo spettacolo ha debuttato il 1° agosto 2004 presso la cava del rio Mendia, Borgata Ruà. Alla messa in scena oltre agli abitanti di Pragelato e delle valli circostanti si sono uniti degli attori professionisti.
Il lavoro teatrale presenta diverse scene strutturate a flash-back, tutte collegate tra loro. In sala ci si trova proiettati agli inizi del Novecento, grazie anche alla presenza di tre personaggi. Il Passato, che difende la naturalezza dell’uomo. Il Presente, che si inserisce come un narratore raccontando quello che sta succedendo o è già capitato. Infine il Futuro, che entra ed esce per contrastare il Passato, in diversi modi: progressista, produttivo e consumista. Personaggio fuoricampo è la Regia, simbolo dell’autorità. Senza dimenticare il ruolo della donna, protagonista con il suo dolore, della tragedia.
La prima scena è aperta dagli interpreti che esprimono poeticamente il loro significato di “cambiamento” partendo da un risveglio onirico, fino a essere trasformati da un telecomando, simbolo di modernità, che ha la funzione di programmare il lavoro in serie con un movimento meccanico. Il tutto è comandato dalla Regia e dal personaggio del Futuro che, novelli demiurghi, hanno in mano il potere. In questo sviluppo industriale si apre il secondo quadro nel quale il Passato entra in scena e, in conflitto con il Futuro, cerca di dimostrare che il lavoro a mano poteva essere duro, ma almeno offriva all’uomo un’opportunità. Il Futuro lo contraddice, adducendo le grandi possibilità offerte dal progresso. Entrambi i personaggi escono di scena e a chiudere è il Presente, un professore, direttore d’orchestra che nella sua megalomania si perde diventando spesso confuso. Questo lo porta a giocare con battute improvvisate, rendendosi conto di essere troppo noioso e incerto. Decide quindi di andare a fare un giro nel passato.
Poi le tematiche si succedono senza soluzioni di continuità, incalzanti ed appassionanti. Dall’osteria, tipico luogo di ritrovo dei minatori, alle leggende, alle donne pragelatesi coi loro figli ed i vestiti delle feste a base di balli occitani, per tornare in “miniera”, nel lavoro faticoso dei minatori, rotto solo dalla valanga, dal suo prorompere e dal tombale silenzio successivo.
Tanti gli spunti di riflessione sulla tragedia, sui suoi dolori e pianti, sulla natura madre e matrigna, sul tempo che scorre imperturbabile.
Uno spettacolo non perdibile (ed una sola data a Torino pare francamente poco, ma contiamo in una sua ripresa nel 2005) ideato dall’associazione Nartea – segni artistici della terra (nata nel 2003 e che si propone, attraverso molteplici segni artistici e differenti proposte, di valorizzare territori, tradizioni, spazi, luoghi, dove l’arte e l’uomo si possono incontrare in modo armonico) e molto ben diretta da Lidia Masala.
Le miniere del Beth – La memoria, le tradizioni, il lavoro e i cambiamenti
Domenica 19 dicembre 2004 – ore 21
Sala Espace – via Mantova 38 bis – Torino
Ingresso 5 €
Informazioni ed organizzazione Associazione Culturale Nartea: via Cavallermaggiore, 12 – 10139 Torino – tel. 011.433.6368 – 349.838.3290
di Claris