Tre settimane in Messico IV
Febbraio 28, 2005 in Racconti da Redazione
24/8 – Real de Catorce
Arriviamo a Real de Catorce senza imprevisti, dopo aver cambiato bus a Matheuala ed una colazione al terminal a base di huevo al gusto jamon. In mattinata presto attraversiamo il tunnel che conduce alla città fantasma. Passiamo sulla strada lastricata più lunga al mondo e subito ci rendiamo conto che un altro magico spettacolo messicano ci attende. Attraversiamo una coltre di nubi, superiamo la galleria di oltre due chilometri e mezzo di senso unico e giungiamo in un simpatico paese.
Dimenticavo, a un certo punto abbiam dovuto cambiare bus: il primo era troppo alto per passare sotto la galleria. Stu sale sul nuovo pulmino ormai rapito da sogni di peyote e dimentica lo zaino sull’altro!
Ci sono tantissime bancarelle che vendono colorate cianfrusaglie, specie a carattere religioso (scopriamo dalla guida che qua sono molto cattolici e c’è un pellegrinaggio di 150.000 fedeli alla chiesa di Real).
Troviamo facilmente la stanza per dormire, grazie alle indicazioni di un paio di tipi del paese che ci accompagnano proponendosi come “guida al peyote” per la mattina successiva. Ci pensiamo e alla fine abbiamo appuntamento per domani alle 9. Dovremo anche pensare ai biglietti dei bus per il ritorno se non vogliamo rischiare di restare un’altra notte qua… senza soldi.
Ci riposiamo e subito l’atmosfera misteriosa del villaggio semi abbandonato perduto nel nulla del deserto ci fa il primo scherzo; ci svegliamo freschi e riposati dopo una doccia e andiamo a mangiare in un bel ristorante a due passi dall’ostello.
Chiediamo al cameriere l’ora aspettandoci qualcosa intorno alle 16, ma ci risponde che è l’una: avremo dormito un’ora e mezza al massimo.
Dopo una pizza pesantissima ci colleghiamo a internet e passeggiamo per le vie alla ricerca di buoni punti di vista. Ne troviamo un bel po’, le montagne circostanti creano un fascino unico, sarà per l’idea che vi cresce il sacro peyote. In preda all’estasi esplorativa partiamo puntando quelli che sembrano essere le rovine di un avamposto per minatori. Cominciamo a guardare verso il basso alla ricerca di fluorescenze bianche, poi ci dividiamo: Stu verso l’alto, io verso il basso. Ci ritroviamo poco dopo con le mani vuote ma continuamente eccitati da quel che vediamo: miniere abbandonate, asini, cavalli, cani.
Rientriamo dopo un paio di foto al tunnel e facciamo conoscenza con Aldo il fantasma, che si diverte ad alzare il lucchetto che chiude la porte della nostra stanza. Ce ne giriamo un paio parlando dei tempi del liceo e andiamo a cena, divertiti e affascinati da Real de Catorce. Non mangiamo granché bene, ma ci riempiamo lo stomaco. Ora sono in stanza a scrivere e scopriamo che siamo a 2750 m d’altitudine: oggi saremo saliti sui 2900. In sandali. Il peyote qualcosa ha già fatto, domani forse farà di più.
25/8 – —peyote—
Abbiamo deciso di rimandare la partenza perché sarebbe stato improponibile farlo nelle nostre condizioni.
Abbiam mangiato i peyote. Più di uno. Forse una decina piccoli.
Sono le dieci di sera e di una cosa sola son certo: oggi non potrò mai scordarmelo.
26/8 – I ricordi (?!) dei peyote di ieri
Provo a ripercorrere la giornata di ieri, anche se so già che alcuni punti non potranno essere riportati perché credo che non esistano parole adatte per descriverli.
Tutto inizia alle 8 del mattino con una sonora bussata alla porta: l’albergatore ci sveglia come richiesto. Doccia, zaini pronti, li lasciamo in albergo sicuri che, al massimo nel tardo pomeriggio, saremmo partiti per Città del Messico.
Facciamo una colazione leggera a base di fette di pane e marmellata: meglio non ingerire troppe sostanze che possano influire sull’effetto del peyote. Il servizio è lento, così esco ad avvisare la nostra guida che ritardiamo qualche minuto: incontro un suo sosia e mi accordo con lui rischiando di creare un “incidente diplomatico”.
Alla fine partiamo seguendo il mulo della nostra guida originale; indossiamo le felpe perché il primo tratto, un sentiero piuttosto ripido, è ancora all’ombra. Arriviamo in una strada sterrata, in alcuni tratti rivestita di pietre, e incrociamo alcuni uomini che lavorano a colpi di piccone e badile. Ci salutano alzando la mano e facendo battutine tra loro: credo che la nostra meta sia nota a tutti.
La guida parla poco e noi continuiamo a seguire il culo del mulo.
Inizia a far caldo. Dopo circa due ore e mezzo di cammino abbandoniamo le discese montane e arriviamo al deserto: una piana con arbusti, cactus e poco altro.
Legato il mulo, il tipo ci spiega cosa dobbiamo cercare e iniziamo a farlo senza successo alcuno: sono dei piccoli bulbi che escono per pochissimo dalla terra. La guida ne trova un bel po’: li estrae col coltello, toglie quel che non si deve mangiare e ce li passa. Li sciacquiamo con un po’ d’acqua comprata apposta e li mangiamo:il gusto è fortemente amaro e Stu si aiuta con due caramelle.
E’ circa mezzogiorno e mezza quando la guida ci saluta perché ha altro da fare e, prendendo i soldi, ci spiega che il ritorno è molto semplice e non possiamo sbagliarci. Dopo venti minuti, bestemmiando per il caldo e il senso di nausea dovuto al veleno ingerito (principio attivo: mescalina), ci accorgiamo di aver sbagliato strada. Grazie ad un vecchio su un mulo che ci instrada nella giusta direzione, continuiamo la camminata: il sole è alla sua massima altezza, il mal di pancia non ci abbandona e la strada si fa sempre più ripida. Incrociamo un primo gruppo di lavoratori, li salutiamo cercando di darci un contegno (le nostre facce tradiscono una gran fatica): ci salutano e fanno battutine.
Facciamo una prima tappa all’ombra, iniziamo ad essere preoccupati, siamo quasi certi che non riusciremo a tornare al DF (Districto Federal: Città del Messico) in giornata. Ripartiamo e un piccolo ruscello ci ristora un po’. Iniziamo a parlare con grande amicizia e una confidenza che mai abbiamo avuto. Ci fermiamo ancora e siamo stremati, le energie rimaste quasi nulle, ho qualche brivido e iniziamo a temere di non farcela, ma non ce lo diciamo e insieme intoniamo:
“Puoi girare il mondo finché vuoi, ma i granata veri siamo noi!”
Diventa una sfida con noi stessi, ma siamo vicini alla perdita dei sensi. L’ultimo ricordo nitido è di una strada sempre più ripida davanti a noi e null’altro; noi che ci trasciniamo. Poi d’improvviso una insegna della coca cola, che qua indica i bar, alcune case, alcune voci. Ci sediamo all’ombra qualche minuto, giriamo l’angolo e c’è la chiesa di Real de Catorce: chiedo conferma ad un bambino.
“E’ Real de Catorce?”
Mi risponde con uno sguardo che poteva solo dire:”E dove credi di essere cretino?”
Grande gioia, io e Stu ci stringiamo la mano: “E’ come se fossimo morti e risorti”, ci diciamo.
Sono solo le 3 del pomeriggio e siamo in piena botta di peyote: visioni, allucinazioni spazio temporali, emozioni e sensazioni indescrivibili, spesso vicine alla commozione. Ci sentiamo orgogliosi e forti, scambiamo confidenze e considerazioni sulla vita come mai avevamo fatto, uniti come non mai. Non riusciamo a prendere sonno neanche dopo mezzanotte e di certo la stanchezza non mancava.
Abbiamo speso il pomeriggio a cercare di capire come abbiamo fatto a tornare (in stato di trance?), per giunta entrando nel paese dalla parte opposta da dove eravamo partiti: abbiamo concluso che alcune domande non avranno mai risposta, e così dev’essere.
26/8 – In pullman a Città del Messico
Invece di essere svegliati alle 7 dall’albergatrice come da accordi, ci siamo alzati da soli alle 8, e il Pullman era perso. Non ci scoraggiamo e troviamo una costosa soluzione grazie ad un tipo che si offre di accompagnarci a Matheuala per 500 pesos cont
ro gli 80 del bus: accettiamo perché non abbiamo scelta. Siamo fortunati perché la coincidenza per il DF è di lì a mezzora, un po’ meno perché il bus continua a rompersi ed accumula due ore di ritardo.
Arriviamo a Città del Messico alle 6 e mezza; cambiamo tre metrò e abbiamo già la nostra camera d’albergo vicino allo Zocalo (la piazza principale di ogni città messicana, con la cattedrale ed il municipio, n.d.r.) della capitale. Ceniamo al 6° piano dell’Holiday Hinn con ottima vista e prezzi curiosamente modesti. Beviamo ancora due tequila e andiamo a coricarci piuttosto stremati : la camera ha un bagno degno di foto, e la faccio.
27/8 – La Capitale e… verso l’aeroporto
Non è stato un bel dormire: il letto, per essere matrimoniale, era piuttosto piccolo e il riposo è stato difficile. Alle 10 siamo in pista e iniziamo con una colazione in un bar del 1948, serviti da una cameriera piuttosto scontrosa ma, a modo suo, piacevole.
Giriamo un po’ per le vie del centro, torniamo in albergo a prenderci gli zaini e, con 2 pesos di metrò, alle 5 siamo all’aeroporto.
Sembra che siamo giunti alla fine, anche se è dura rassegnarsi all’idea: è stato il viaggio con la V maiuscola, che ha toccato attimi di quasi totale spiritualità (Zipolite, Real de Catorce) alternati ad altri di grande leggerezza. Uno sceneggiatore non avrebbe potuto scrivere di meglio.
Mi son dimenticato di parlare
di Gianluca Ventura (foto di Stefano Lione)