Donna dell’Anno 2005
Dicembre 3, 2005 in Attualità da Adriana Cesarò
E’ un avvocato del Malawi la “Donna dell’Anno 2005” si chiama Chirwa Vera ed ha 71 anni, di cui dodici passati in carcere. Venerdì 2 dicembre, presso il Salone Gran Paradiso del Grand Hôtel Billia di Saint Vincent, Chirwa Vera, ha ricevuto il Premio Internazionale con la seguente motivazione: “Per aver dedicato tutta la sua vita ad attività a favore dei diritti umani e dei popoli, ed in modo particolare per aver combattuto le consuetudini in un paese fortemente arretrato”. Il Premio è stato promosso dal Consiglio regionale della Valle d’Aosta, in collaborazione con la Fondazione CRT di Torino, la Rai, sede regionale per la Valle d’Aosta, il Soroptimist International Club Valle d’Aosta e il Casino de la Vallée. Presenti alla manifestazione il Presidente del Consiglio, Ego Perron, e la Principessa Maria Gabriella di Savoia, Presidente della Giuria. La serata è stata condotta dal presentatore Massimo Giletti, con la partecipazione della giornalista Lilli Gruber, oggi euro parlamentare. “I diritti umani senza frontiere” è stato il tema dell’edizione del 2005 dove s’intende sostenere fortemente l’opera di tante donne che lottano e si impegnano ogni giorno per la conquista e tutela dei diritti umani. la Giuria, ha decretato la vincitrice tra le tre candidate giunte in finale e individuate su trenta segnalazioni proposte dai vari organismi nazionali ed internazionali proprio sul tema. Le altre due finaliste sono state: l’algerina Akila Ouared e l’italiana Suor Piera Santinon. Alla vincitrice va un premio di ventimila euro.
Storia e attività dalla vincitrice Chirwa Vera.
La sua vita movimentata l’ha resa attiva e impegnata nella difesa dei diritti umani. Come prima donna avvocato in Malawi ha avuto un ruolo di guida assieme al marito Orton nella campagna per l’indipendenza nazionale nel 1964. Poche settimane dopo, la polizia del regime di Kamuzu Banda rimasto poi al potere per 30 anni, costrinse la coppia all’esilio in Tanzania. Nel 1981 Si trova in Zambia con il marito e durante la vigilia di Natale vengono rapiti dalle forze di sicurezza dal Malawi e riportati in patria. Qui, vennero accusati di alto tradimento e a seguito di un processo farsa durato due mesi furono condannati a morte. Nel giorno del verdetto, Vera, sfidò la corte chiedendo la parola, un atto proibito, fissò i magistrati e chiese in base a cosa veniva condannata. La risposta fu: “Nulla ma sei colpevole!” Nell’ala femminile del carcere Vera venne torturata, le venne negato il diritto di stare all’aperto, di ricevere visite, lettere e notizie dal marito, doveva dormire sul pavimento di cemento. Fu la fede a salvare Vera. Nel 1990 Amnesty International, intraprese un’azione urgente per il rilascio di Vera e Orton. Nell’autunno 1992 una delegazione di esperti britannici ottenne il permesso di visitarli e finalmente Vera e Orton si rividero per la prima volta in 8 anni. Orton morì l’anno dopo in carcere e Vera non ha potuto assistere al suo funerale. In seguito Kamuzu Banda la graziò per ragioni umanitarie e venne rilasciata il 24 gennaio 1993, dopo 12 anni di carcere. A partire dal 2000 Vera è stata relatore speciale sulle condizioni carcerarie per la Commissione africana dei diritti umani e dei popoli, inoltre ha fondato l’ONG Malawi Carer, un centro di azione e ricerca dei diritti umani, attraverso il quale promuovere diverse azioni in favore dell’abolizione della pena di morte. Vera visita inoltre le carceri del Malawi e vorrebbe riformare il sistema carcerario concentrandosi sulla rieducazione, sulla possibilità di insegnare loro una professione. Un altro impegno, è quello in favore delle donne vedove che non possono subentrare nelle proprietà del marito in quanto la donna stessa è proprietà del marito. La situazione del Malawi non è confortante.
Storia e attività di Akila Quared premiata con la seguente motivazione: “Per aver dedicato tutta la sua vita alla difesa dei diritti umani e dei diritti delle donne nel suo paese e per aver pagato fisicamente per il suo impegno”. Figlia di un sindacalista, nipote di un Mufti (religioso musulmano) Akila è stata una militante del Fronte di liberazione nazionale e ha partecipato attivamente alla resistenza dal 1957 fino alla indipendenza dell’Algeria, raggiunta nel 1962. Ha preso parte sia alla liberazione che alla costruzione del suo paese. Durante la resistenza Akila ha perso parzialmente l’uso di una gamba per cui zoppica vistosamente. Negli anni bui delle stragi di civili ad opera dei gruppi fondamentalisti Akila ha aderito all’Associazione Diritti e promozione dei diritti delle donne algerine di cui è diventata presidente in poco tempo. L’Associazione si occupa soprattutto della riabilitazione psichica e fisica delle donne vittime degli islamismi. Minacciata dai fondamentalisti ha dovuto cambiare casa ben quattro volte in pochissimi anni, soprattutto per difendere i suoi cinque figli, uno dei quali è rimasto traumatizzato dopo l’esplosione di una bomba in un autobus cittadino. Quando Boutefika è diventato presidente del Paese ha chiamato Akila per affidarle una carica politica nel suo governo, lei accettò la sfida e per qualche mese lavorò nel governo. Quando si accorse che non c’era assolutamente l’intenzione di attuare la parte di programma a favore della condizione femminile, abbandonò immediatamente l’incarico. Da quel momento dirige l’Osservatorio per i diritti umani in Algeria (istituito dalle Nazioni Unite).
Storia e attività di Suor Piera Santinon premiata con la seguente motivazione: “Rappresenta tutte quelle donne di fede che hanno scelto di essere con umiltà e con esperienza accanto alle persone più povere della terra e il Darfur è veramente il paese più povero della terra, è infatti considerato la maggiore emergenza umanitaria del pianeta. Suor Piera è eccezionale, il suo ruolo sottolinea l’impegno e l’attenzione necessari in un paese musulmano dove è ancora in vigore la svaria e quindi le donne sono costrette in ruoli ben definiti e sotto la totale giurisdizione dell’uomo”. Dal 1960 si dedica all’assistenza dei malati, prima presso l’ospedale di Alessandria e poi al Mauriziano di Torino, arrivando a condurre anche grandi reparti. Nel 1984, seguendo la sua vocazione missionaria parte per
l’Africa, il 1° gennaio 1984, inizia la missione delle suore della carità nella capitale sudanese presso l’ospedale Militare di Khartoum. Dal 22 ottobre 1994 raggiunge la missione di Nyala nel Darfur colpito dalla grave siccità di quegli anni. Per otto anni ha svolto un importante servizio sanitario girando spesso da sola per oltre duecento villaggi del Darfur, percorrendo anche mille Km in ogni suo giro di assistenza, viaggiando per ore ed ore tra deserto e savana. Nei villaggi del Darfur non esistono quasi infrastrutture sanitarie o posti medici, e i pochi presenti sono raramente serviti da personale adeguato. Dall’inizio della guerra nel 2003 ha ancora continuato per un anno i suoi giri da sola senza altri aiuti. Anche quando faceva presente il crescendo dei problemi che la guerra portava, si è trovata di fronte il muro di indifferenza che il mondo aveva eretto intorno a questa parte del pianeta. I suoi safari sono terminati circa un anno addietro quando lungo la strada le hanno rubato la macchina. Periodicamente rientra in Italia e dedica il suo tempo a raccontare del Darfur e a convincere a chi può dare, di ricevere gli aiuti di cui ha bisogno.
di Adriana Cesarò