L’age du Fer
Gennaio 7, 2006 in Arte da Stefano Mola
Prediamo l’Age du Fer. C’è una stazione, e un treno che parte. Realismo, dettaglio, precisione. Però, in primo piano, c’è una donna. Distesa su un letto, forse un sofà, che in teoria, in una stazione non dovrebbe esserci. Porta un cappello con le piume che sa di grand’operà. Soprattutto, è nuda. Ha un braccio sollevato verso destra, la mano distesa come se salutasse qualcuno in un gesto a metà, come se il gesto arrivasse in ritardo, e la persona cui è diretto se ne sia già andata. Ma poiché è rivolto di lato, è difficile pensare che quella persona sia sul treno che se ne sta andando. Nell’espressione non c’è rammarico, rimpianto o tristezza. C’è una specie di assorta malinconia, come se in fondo il gesto non fosse veramente importante, ma una specie di riflesso automatico fatto mentre il pensiero se ne sta da un’altra parte. Quello che conta, credo, è il contrasto tra la nudità della donna, che richiama alla natura, alla fecondità, pur non essendoci in lei alcun ostentato erotismo né alcuna volontà apparente di seduzione, e la tecnologia, il progresso. Tra i due mondi non sembra ci sia alcun punto di contatto. Come se l’affanno della costruzione e del progresso non potesse per alcun motivo al mondo essere una risposta alla sua malinconia. Come se l’organizzazione del mondo così com’è non permettesse di trovare una collocazione alla donna.
Forse è per questo che le donne di Delvaux sembrano quasi capitate lì per caso da un’altra dimensione, sempre quietamente assorte, assenti, praticamente prive di interazioni con quanto le circonda, portatrici di una malinconia che non è culturale, ma quasi stampata nella carne, genetica, ineludibile. I nostri sguardi non possono che sfiorarne il mistero, scivolare sui loro seni bellissimi eppure irraggiungibili. Sono quasi sempre nude, le donne di Delvaux, e al massimo hanno gesti e sguardi tra loro. Gli uomini sono praticamente assenti, e se ci sono, quasi sempre impettitamente vestiti. Forse perché sono da un’altra parte, a costruire treni e cisterne. Forse perché delle donne non hanno capito niente, e si limitano a desiderarne le carni, e il resto, qualunque cosa sia, non riescono nemmeno ad avvicinarlo.
C’è ancora tempo solo fino al 15 gennaio per andare a Palazzo Bricherasio. La mostra è raccolta, non angoscia per affollamento di opere. I quadri di Delvaux sono grandi, pieni di mistero. Vale la pena provare a confrontarsi con loro.
(C’è anche un bellissimo Magritte)
di Stefano Mola