Rocca scivola e sfumano i sogni

Febbraio 25, 2006 in Sport da Federico Danesi

SESTRIERE – Rocca inciampa, cade e l’Italia dello sci si ritrova improvvisamente indietro di ventisei anni. Come a Lake Placid ’80 gli azzurri chiudono un’Olimpiade senza nemmeno una medaglia. Non diciamo un oro, che sarebbe sembrato quasi utopia, ma nemmeno lo straccio di un bronzo.

Un disastro dal quale non si è salvato nemmeno il nostro numero uno. Poco più di trenta secondi all’attacco, quelli di Rocca, come gli imponevano il numero e la gente salita sino al Colle solo per lui. Il miglior intertempo, i giusti anticipi, la sensazione di una prova convincente. E’ bastato trovare un grumo di neve, là dov’era più morbida e si è ribaltato. Più o meno come l’ultimo dei principianti che ogni domenica calcano le stesse piste.

Tutto finito ancora prima di cominciare. Quello che non finirà sono i processi allo sci italiano. Rocca si è assunto le proprie responsabilità, da uomo saggio qual è: “E’ un peccato perché stavo andando bene, avevo attaccato nei punti giusti. E dire che lo sapevo che lì la neve cambiava, ma è bastato un attimo e mi sono ritrovato per terra. Peccato, soprattutto per questa gente”.

Ora penserò al resto della stagione, a quella Coppa di specialità che sarebbe un premio equo ancorché non un risarcimento per quanto ha mancato Sarebbe però profondamente ingiusto addossargli colpe che non ha. E’ impensabile arrivare all’ultima gara del programma olimpico sperando che anche una vittoria possa cancellare quanto di pessimo è successo nei giorni precedenti. La realtà è che le nostre nazionali stanno vivendo da troppi anni in regime di piccolo cabotaggio. Un piazzamento nei dieci viene salutato come un trionfo, quando arriva una vittoria, raramente fatta seguire da un altro risultato almeno nei primi tre, ecco il nuovo fenomeno. E’ stato così per Blardone, per Simoncelli, per Elena Fanchini. Solo quest’ultima, che ha avuto a che fare con cadute e infortuni a catena dopo il successo a Lake Louise, ha delle attenuanti.

Il ricambio generazionale è molto più lento rispetto ad altre nazioni, non solo l’Austria che produce campioni in serie. Qui, come ad esempio nel tennis, la voglia di sacrificarsi è inferiore al dovuto, perché in molti pensano che basti il talento. E così l’Italia si ritrova senza medaglie, come e peggio delle nazioni che nello sci rappresentano il Terzo Mondo.

Da qui a Vancouver ci sono ancora quattro anni. Ma già tra dodici mesi i Mondiali di Aare rappresentano un buon punto per segnare una svolta, definitiva.

PILLER PER L’ULTIMA EMOZIONE

Smaltita la delusione dello speciale, oggi ci resta un’ultima carta da giocare. E’ un jolly,. In tutti i sensi, perché difficile che la 50km di fondo si possa trasformare in una lotteria, ma non sempre il successo arride al più forte.

Sulla carta è lui, Pietro Piller Cottrer, favorito forse anche più di quello che era Rocca nello slalom. Il sappadino sogna questa gara da quattro anni e l’affronta, buon per lui, con al certezza di avere già due medaglie al collo.

E’ la sua distanza, quella che lo rivelò al mondo nove anni fa, quando era solo un giovanotto di belle speranze. Arrivò ad Holmenkollen, la collina di Oslo, e sbaragliò il campo, in una 50km a tecnica libera, come oggi, anche se allora la partenza era dal cancelletto.

Tante gare e tante delusioni sono passate, da allora. “Killer” Piller a 32 anni ha raggiunto la piena maturità e, soprattutto, ha un tracciato che gioca dalla sua. E’ uno dei pochi in grado di fare la differenza lungo le salite che caratterizzano il percorso di Pragelato e che alla fine di una gara così massacrante si faranno sicuramente sentire.

Chiudere con una medaglia, senza azzardare sin d’ora il colore, sarebbe il massimo.

di Federico Danesi