Massimo Manzi, direttore artistico di Gubbio No Borders…
Agosto 16, 2006 in Musica da Redazione
Intervista al deus ex-machina di una delle manifestazioni jazz italiane più interessanti.
Massimo Manzi nasce nel 1956 a Roma. Dalla metà degli anni ‘80 intraprende un’intensa attività musicale che lo vede al fianco di svariati jazzisti della scena internazionale. E’ docente di batteria jazz e collabora con alcune note aziende per la produzione di percussioni. Direttore artistico del Gubbio No Borders, quest’anno ha suonato durante la stessa manifestazione con Kenny Wheeler e la Colours Jazz Orchestra. L’abbiamo intervistato [e fotografato, n.d.r.] dietro le quinte pochi minuti dopo la fine dell’atteso concerto.
Com’è oggi la situazione del jazz in Italia? C’è spazio per i giovani jazzisti?
Nonostante il jazz italiano stia ottenendo diversi riconoscimenti anche all’estero, la situazione dei giovani è tutt’altro che facile. Per chi si avvicina al jazz oggi, si prospetta un futuro difficile. Un tempo era più difficile studiare che affermarsi, oggi probabilmente avviene il contrario. Personalmente cerco di inserire, quando possibile, alcuni artisti emergenti in Gubbio No Borders. E’ una buona opportunità per aumentare la propria visibilità.
Oltre che affermato batterista e insegnante, lei collabora con alcune importanti aziende per la produzione di strumenti acustici. Quanto è importante la corretta riproduzione del suono in un concerto? Mi riferisco ad esempio all’acustica migliorabile in luoghi noti come l’Auditorium di Roma.
E’ molto importante, non ci sono dubbi. Ricordo molti concerti in cui l’acustica era pessima e sviliva l’evento. Noi siamo sempre stati attenti a quest’aspetto. Stasera purtroppo alcune apparecchiature si sono bagnate a causa della pioggia e ci hanno dato qualche problema.
Già, la pioggia. Quest’anno il cattivo tempo non vi ha dato tregua.
E’ stato l’unico aspetto davvero negativo di questa edizione. Nonostante ciò abbiamo dato prova di reggere bene.
Che ne pensa dell’elettronica applicata alla musica?
Può essere utile se usata con parsimonia ma soprattutto con buon senso. Un nuovo tipo di suono generato da uno strumento elettronico può servire da complemento alla composizione. Si tratta di un nuovo sistema creativo insomma. Tuttavia è alquanto difficile che un pianoforte elettrico possa sostituire, almeno nel jazz, un pianoforte acustico.
Una domanda scontata. Può esprimerci il bilancio dell’edizione di quest’anno? Anche in considerazione del fatto che a pochi chilometri da Gubbio si tiene il notissimo Umbria Jazz.
Bilancio positivo. L’organizzazione è migliorata e l’affluenza del pubblico ci ha premiato. Con l’Umbria Jazz, evento storico nel reale senso del termine, si convive pacificamente. Il budget che abbiamo a disposizione è senza dubbio minore, ma non per questo scendiamo a compromessi sulla qualità degli artisti.
Quanto conta avere un direttore artistico musicista?
E’ un fattore importante, conoscere gli artisti contribuisce a portarli sul palco, ma è anche estremamente faticoso perché in questo modo si è costretti a fare due lavori contemporaneamente.
Quest’anno è stato dato ampio spazio a particolari generi artistici non propriamente di impronta jazzistica. Come mai questa scelta?
Ritengo che riuscire a far convivere diverse forme di espressione costituisca un fattore di grande importanza. Quest’anno, ad esempio, abbiamo proposto il tango che ha sorpreso molto positivamente la platea. Le scelte artistiche vanno fatte soprattutto in base al gradimento che potrebbe mostrare il pubblico verso un certo tipo di spettacolo. E talvolta è anche possibile variare l’offerta in modo totalmente proficuo.
La ringrazio dell’intervista e mi complimento ancora, sia per la direzione artistica che per la performance musicale di stasera.
Grazie a lei e a presto.
di Gianfranco Catullo