Finestra sulla Goliardia
Maggio 23, 2001 in il Traspiratore da Redazione
I Carmina Burana
A seguito dell’Unità d’Italia, la Goliardia iniziò ad assumere un piglio più vivace, un tono nuovo di giocondità che, in alcuni casi, coincideva con espressioni più irriguardose del solito, ma null’altro. Negli atenei fece capolino una specie di velleità di ribellione che la società del tempo scambiò per spirito rivoluzionario. In effetti, lo spirito goliardico non si è mai sognato di sovvertire, ma soltanto di correggere il sistema. Comunque, a confronto con i fecondi periodi del quattrocento e cinquecento, l’ottocento fu senz’altro un periodo in cui la Goliardia italiana sonnecchiò abbastanza. Proprio nell’Ottocento, però, il Fato volle che i vecchi canti e le remote novelle degli antichi goliardi fossero ritrovati.
Trattavasi di una raccolta di circa 300 canti goliardici medievali, scritti in latino, in tedesco e in lingua mista. Fu per merito di un vescovo, rimasto nell’anonimato, se buona parte di quegli antichi canti è giunta ai nostri giorni. Lo sconosciuto religioso, infatti, intorno al 1225, li raccolse e li ricopiò con cura meticolosa in un grosso tomo che giacque dimenticato nel monastero di Benediktbeuren, in Germania, fino al 1803, quando, all’arrivo di Napoleone, i conventi furono soppressi e tutto il materiale venne trasportato nella biblioteca di Berlino. Il manoscritto fu pubblicato nel 1847 col titolo di “Carmina Burana”, da Beuren, il luogo dove il testo era stato rinvenuto, e costituisce il più importante monumento della poesia dei Clerici Vagantes.
Il Periodo Fascista
Con l’avvento del Fascismo, la Goliardia subì una consequenziale trasformazione. Il Fascismo, infatti, si era posto il problema del come formare i giovani delle nuove generazioni e del come inserirli sistematicamente nel quadro delle attività nazionali. I giovani non si dimostravano contrari al Regime, ma intendevano, come al solito, dargli un diverso contenuto. I ventenni, soprattutto, nei confronti delle gerarchie, erano più indipendenti e scanzonati e non potevano accettare completamente la disciplina di partito, né il caporalismo che si andava obbligatoriamente imponendo.
Per molti goliardi, ad esempio, Starace era proprio una bestia nera. Nella Festa delle matricole tenuta a Padova nel 1936, i goliardi organizzarono, con la partecipazione di molti studenti, il famoso funerale del segretario. Il corteo si snodò dietro un carro funebre in cui era sistemato un pupazzo con la scritta “questo è Starace”.
Seguirono delle rappresaglie, ma Mussolini ordinò di lasciar cadere ogni cosa. Si svolgevano, è vero, feste di matricole in molte sedi universitarie, ma con uno stile che suonava adesione: basta leggere il numero de “Il Goliardo” del 1933 che annunciava la Festa delle matricole presso l’ateneo bolognese. Tra le righe si trova scritto: “Vieni – Duce nostro – … sentirai la nostra promessa: per un’Italia più grande e più temuta – Duce comanda – Obbediremo”.
Comunque, gli ordini goliardici furono disciolti, la feluca veniva indossata sulla divisa del G.U.F. (Gruppo Universitario Fascista) e, invece dei canti tradizionali, le sollecitazioni polmonari erano tutte per “Libro e Moschetto” e “Addio Giovinezza”.
Il Dopoguerra
Al Fascismo seguì il difficile periodo postbellico, con le conseguenze della guerra civile e del periodo di lotte politiche aspre e spietate. Gli studenti, tornati dalla guerra carichi di bolli, si resero subito conto che la Goliardia sarebbe potuta sopravvivere solo se fossero riusciti a porla al di sopra delle varie ideologie e se l’avessero sottratta al potere dei partiti.
Occorre mettere l’indice sul termine “al di sopra”, per contraddire quanto asserito da alcuni politici, i quali, avendo constatato la propria impotenza nel ridurre i goliardi a massa amorfa, avevano definito il mondo della Goliardia come un agglomerato “senza ideologia”.
Si percepiva, però, la necessità di dare alla Goliardia dei Connotati ben precisi per offrire una visione netta ed un modello in cui tutti potessero ritrovarsi. Per questo, 1’8 aprile 1946, i Principi di Goliardia si riunirono presso il Caffè Florian di Venezia e, ricostituendo gli ordini, proclamarono: “Goliardia è cultura ed intelligenza; è amore per la libertà e coscienza delle proprie responsabilità sociali davanti alla scuola di oggi e alla professione di domani. E’ culto dello spirito che genera un particolare modo di intendere la vita, alla luce di un’assoluta libertà di critica senza pregiudizio di fronte ad uomini ed istituti. E’ culto delle antichissime tradizioni che portarono nel mondo il nome delle nostre università di scolari”.
[continua]
di Giovanni Ruotolo