La visitatrice
Maggio 21, 2007 in Libri da Tiziana Fissore
Titolo: | La visitatrice |
Autore: | Maeve Brennan |
Casa editrice: | Rizzoli |
Prezzo: | € 7,20 |
Pagine: | 109 |
Per me come per tanti altri è una gioia scoprire uno scrittore di cui non si è mai saputo nulla e capire che mai abbandoneremo il testo a nostre mani e dal quale ci sentiamo catturati. E’ quello che mi è successo con ‘La visitatrice’ di Maeve Brennan.
Confesso che la copertina mi ha attirata con il bellissimo viso dell’autrice che sembra un’attrice (ho poi scoperto che avrebbe voluto diventarlo), un viso malinconico, con i capelli raccolti che lasciano libero il profilo dall’espressione apparentemente inanimata ma in realtà accorata e persa in pensieri indefiniti.
Forse è necessario far sapere che Maeve Brennan, nata a Dublino nel 1917, figlia dell’ambasciatore della repubblica irlandese si trasferisce per seguire il padre a Washington a diciassette anni. Comincia a scrivere su Harper’s Bazar e il New Yorker racconti e critiche letterarie ma è un personaggio difficile e sfuggente e passa la sua esistenza proprio viaggiando in senso metaforico da un albergo all’altro e purtroppo entrando ed uscendo fra cliniche per malattie mentali fino al 1993 quando morirà quasi sconosciuta e dimenticata.
Peccato perché la Brennan è una grande scrittrice e questo libretto che aveva scritto prima dei trent’anni e che è stato ritrovato per caso nel 1997 in un archivio universitario americano, ne è un grande esempio.
‘La visitatrice’ è la storia di una ragazza irlandese, Anastasia, che ritorna, dopo la morte dei genitori, dalla nonna paterna e quindi nella propria casa a Dublino che aveva abbandonato alcuni anni prima con la madre. Non è tanto la storia in sé, quella del ritorno, ciò che colpisce quanto i problemi esistenziali che vengono affrontati. La nonna, la signora King, è legata al ricordo del figlio e tra nonna e nipote basterebbe un niente per una riappacificazione ma il gesto, le parole non arrivano. E’ colpa di nessuno ma la sofferenza interiore di entrambe copre ogni manifestazione d’affetto. Senza giudicare ma solo raccontando l’autrice fa notare che le persone non parlano, non comunicano, tutto diventa silenzio e quindi, come giustamente è stato definito il libro è un ‘racconto d’ombre’, ombre sulle persone, sulle cose, nel giardino, per le strade ed in questo mondo di ombre nascono e vivono i fantasmi del passato. Sono loro, i morti quelli che parlano, vivono accanto ai vivi ed il loro rumore attutito è quello del tempo che passa.
Commuove senza limiti lo sforzo che fa la ragazza per recuperare l’amore della nonna, lo struggimento e la malinconia che pervadono il suo animo, ma sarà proprio il suo inseguimento dell’affetto a farla divenire un personaggio di una tragedia greca ed anche l’evolversi della vicenda avrà un finale adatto ad una folle vendetta psicologica che rasenta la pazzia.
Nella sua ricerca d’affetto non contraccambiato e nel relativo fallimento della sua vita Anastasia si perde e non riuscirà a capire che nella vita ci sono anche incontri positivi, come la domestica e l’amica della nonna, verso la quale non ci comporterà come si conviene, rifiutando a sua volta la loro amicizia e rifugiandosi unicamente nei suoi pensieri. Ed in questo perenne cammino alla ricerca d’amore i fantasmi diventano vivi e i vivi sono dei morti viventi. I vivi non si distinguono più dai morti ed il dolore di Anastasia e la sua inquietudine si sveleranno poi nella vita dell’autrice come perni della sua esistenza segnata da un matrimonio fallito, alcool e depressione. Citando l’autrice: “La casa è un luogo della mente. Quand’è vuota, diventa irrequieta” si capisce che forse è per questo che la Brennan amava vivere in alberghi diversi e poco nella propria casa, forse per fuggire da se stessa ed i propri fantasmi.
Ritornando al romanzo è bella l’essenzialità del testo, la prosa elegante, raffinata ad alto livello stilistico e densa di poesia.
Concludendo: la forza della Brennan sta nella sua scrittura attenta alle sfumature dell’animo ed ai fattori scenografici come atmosfere desolanti, cieli oscuri, porte e finestre che si aprono su ‘neri giardini’ di una Dublino invernale e nel finale che può sembrare un po’ sciocco, con una canzoncina infantile che dice: “C’è una terra felice/molto lontano da qui/dove mangiano pernice/tre volte al dì/Oh, che terra felice è mai quella…” Anastasia fa un atto di ribellione, una sfida a chi si rifiuta di cambiare le proprie idee e ad iniziare ad amare. Una ribellione che nella vita reale ha portato l’autrice a vivere in cliniche ed in perfetta solitudine mentre cercava solo una terra che non c’è.
di Tiziana Fissore