Memoria del vuoto
Giugno 7, 2007 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Memoria del vuoto |
Autore: | Marcello Fois |
Casa editrice: | Einaudi |
Prezzo: | € 16,50 |
Pagine: | 218 |
Nelle parole dei romanzi pare che ci sia una regione, in Italia, più a contatto di altre con il mito. Dove per mito intendo una specie di dimensione oscura, che impasta il sangue e i pensieri dei personaggi con la terra e le forze della natura, per ritrovare legami, riflessi, anticipazioni, interazioni. Qualcosa che rimanda a una dimensione ancestrale, qualcosa che abbiamo dimenticato, messo sotto il tappeto della nostra vista appiattita sotto le luci al neon e davanti agli schermi del computer.
Sono atmosfere che abbiamo incontrato per esempio nel libro con cui Niffoi ha vinto il Campiello l’anno scorso, e che in qualche modo tornano anche qui, in Memoria del vuoto, con cui Marcello Fois è nella terna dei pretendenti alla ventiseiesima edizione del Premio Grinzane Cavour, sezione narrativa italiana.
Anche in questo caso il tempo storico ci porta ai primi anni del secolo scorso, al ventennio, anche se la vicenda di Samuele Stocchino riceve le sue stimmate per la precisione nel 1902, quando l’orologio della sua età segna sette anni. Un torto, un sorso d’acqua negato a due viandanti: di lì in avanti si dipana un filo coi colori della solitudine, le morte degli affetti, il ringhio della vendetta.
Samuele andrà in Libia, in guerra, a soli sedici anni. Poi, la Grande Guerra. Prenderà confidenza con la morte, quella inflitta dalle sue mani e quella che sfiora la sua stessa esistenza, come un velo, più volte. Al suo ritorno la sua dimensione sarà quella del bandito, imprendibile latitante, calmato solo e in parte dal tenero amore per Mariangela. Un’ombra che si protenderà enorme sull’Ogliastra e sul cui capo il Duce appenderà la più grande taglia mai fissata per un ricercato.
La cifra stilistica scelta da Fois per raccontarci questa storia è potente: una commistione di alto e polvere di strada che ci conduce ai limiti della tragedia greca, a vite dominate da un disegno oscuramente tragico.
di Stefano Mola