Passio laetitiae et felicitatis
Giugno 16, 2008 in Spettacoli da Roberto Canavesi
TORINO – Affrontare Giovanni Testori a teatro per un regista è sempre un’impresa improba, tanta è la forza di uno stile e di un linguaggio che non concede compromessi di alcun tipo e costringe chi dirige, al pari di chi interpreta, ad un confronto nudo e crudo con una delle drammaturgie più intense ed espressive del Novecento tutto: ecco perché il progetto che Valter Malosti realizza con la sua Passio laetitiae et felicitatis, in scena per il Festival delle Colline nella magica atmosfera della Cappella di Battu’ di Precetto Torinese, ha tanto il carattere di una sfida d’altri tempi.
Pubblicata del 1975 sotto forma di romanzo, per l’occasione adattata per la scena dallo stesso regista torinese, la vicenda della Passio è una struggente pagina barocca, infarcita al solito da una cascata di latinismi e squarci dialettali lombardi: nel racconto di Felicita, monaca dopo una relazione incestuosa con il fratello poi morto in moto, lo spettatore si trova a vivere intensamente la di lei relazione con la giovane Letizia, una bambina con cui da vita ad un ménage di grande intensità erotica che, una volta scoperto, fa cadere il convento nella più cupa disperazione; un amore impossibile destinato a sfociare in tragedia con un omicidio-suicidio che Felicita attua dopo l’ultimo disperato abbraccio alla sua amata.
Mantenendosi rispettosamente fedele al dettato testoriano, Malosti, con grande intelligenza ed umiltà, si lascia guidare dall’indiscussa forza di una parola che sembra concepita per la scena, concedendosi solo una deviazione finale quando inserisce un appello allo spettatore che l’autore aveva cassato nella stesura definitiva: gli spazi della Chiesa dei Battu’, adattati da Carmelo Giammello in un’atmosfera pseudo-cimiteriale da racconti di Edgar Allan Poe, sono l’ideale cornice per la ricostruzione dell’insana passione, secondo un’idea d’amore “immorale e colpevole” rappresentata prima dal rapporto tra Felicita ed il fratello, e poi nelle sempre più continue, e carnali, affettuosità con Letizia. Un amore malato che sembra essere però essere un passaggio forzato per raggiungere la climax spirituale nell’abbraccio con Cristo, “l’attaccapanni cui appendere la giacchetta della mia esistenza”.
Giustamente a lungo applaudita la performance di un’emozionante Laura Marinoni e della bravissima Silvia Altrui, interprete dalle giovanissime fattezze ma già in grado di esprimere un’indubbia sensibilità artistica.
di Roberto Canavesi