La solitudine dei numeri primi
Luglio 14, 2008 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | La solitudine dei numeri primi |
Autore: | Paolo Giordano |
Casa editrice: | Mondadori |
Prezzo: | € 14,00 |
Pagine: | 304 |
I casi letterari sono difficili da maneggiare. C’è intorno a loro un sacco di cose svolazzanti: è come cercare di mettere per bene a fuoco qualcuno attraverso una cascata di coriandoli. Paolo Giordano è alla radio e sui giornali, non dico quotidianamente ma quasi. Arrivi alla copertina – peraltro azzeccatissima – che sai già troppe cose, o perlomeno presumi di.
I numeri primi del titolo sono Alice e Mattia. Possiamo raccontare da dove vengono, visto che non sapere qualcosa dell’inizio della trama è impossibile per quanto detto sopra. Incontriamo Alice in un giorno d’inverno. Il padre la manda alla scuola di sci contro la sua volontà. In quel mattino nebbioso Alice finirà in un canale innevato, lontana dai suoi compagni, con una gamba spezzata. Rimarrà leggermente zoppa, e così sarà anche della sua adolescenza. Invece Matteo ha una sorella gemella, Michela. Lui è intelligentissimo, portato per la matematica. La sorella invece è ritardata. Sono nella stessa classe, alle elementari. L’ingombrante presenza di Michela fa sì che per Matteo i contatti con i coetanei non siano semplici. Quando per la prima volta entrambi vengono invitati a una festa di compleanno, Matteo abbandona Michela nel parco.
Il romanzo parte da queste due ferite e prosegue seguendo Mattia e Alice, ogni capitolo un piccolo salto temporale. Si conosceranno perché frequenteranno la stessa scuola, ed entrambi vedranno nell’altro la possibilità d’una completezza, il sentimento sotterraneo di poter comprendere le reciproche metà oscure. Come recita una delle più felici pagine del libro, I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci.
Giordano racconta questa doppia distanza. Tra i due personaggi, e tra ciascuno di essi e il mondo che li circonda. Il valore del libro, per me, sta in questo: nella capacità di rendere molto bene una sensazione: l’inadeguatezza, l’incapacità di uscire da se stessi, i momenti in cui non sappiamo lasciar uscire ciò che invece sarebbe fondamentale dire. Qualcosa che praticamente tutti abbiamo provato, ma che poi bisogna essere capaci di mettere sulla pagina in parole che non sembrino troppo scontate, o gratuite.
Quello che mi ha tenuto incollato alle pagine (più della trama, che talvolta m’è parsa indulgere eccessivamente all’accumulo di eventi negativi) è infatti la qualità della scrittura. C’è un controllo della pagina davvero ammirevole, ottenuto con una lingua che è semplice solo in apparenza. Le immagini sono dosate, calibrate, mai eccessive. È uno stile funzionale, al servizio di ciò che racconta, che non cerca di imporsi, di sovra-dire.
Infine, una menzione d’onore per il titolo: oltre ad essere perfetto, ha anche il merito di ricordare al mondo che la matematica non solo esiste, ma ha anche degli aspetti estetici. Qualcosa che purtroppo, in Italia, molti considerano impossibile.
di Stefano Mola