Nel cuore che ti cerca
Agosto 25, 2008 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Nel cuore che ti cerca |
Autore: | Paolo Di Stefano |
Casa editrice: | Rizzoli |
Prezzo: | € 19,00 |
Pagine: | 295 |
Una volta ho sentito Ian Mc Ewan dire che scrivere è cercare di mettersi nelle scarpe di un altro e provare a percorrerci un po’ di strada. Nel mondo esistono miliardi di calzature. Alcune comodissime, altre decisamente scomode. Ci vuole coraggio, per queste ultime. Soprattutto se sono di quelle che esplorano le zone più buie, dove è difficile immaginare dei sentieri tracciati, oppure dei percorsi che sembra inconcepibile anche solo poter avvicinare.
Sicuramente le scarpe che Paolo Di Stefano ha scelto di mettersi per darci Nel cuore che ti cerca, romanzo con cui è nella cinquina del Premio Campiello 2008 appartengono a questa ultima categoria. Di Stefano ci racconta di una bambina, Rita, che in una mattina dei suoi dieci anni, mentre sta andando a scuola, viene caricata su un furgone. Per i dieci anni seguenti, il perimetro della sua vita sarà una stanza di due metri per tre, senza finestre. E il suo unico contatto umano quello con il suo carceriere e violentatore, talora drammaticamente capace, ai suoi occhi deformati, addirittura di dolcezza.
Il romanzo ci dà la voce di Rita. La bambina che poi diventa ragazza e donna narra in prima persona il suo per certi versi allucinato punto di vista. La ricostruzione che Rita fa di sé stessa non può non essere una specie di monologo interiore sospeso in una specie di dimensione altra, inframezzato dai frammenti di una realtà virtuale, quale quella del telefilm Dawson’s Creek. Questa è la parte in cui la scrittura viene maggiormente messa alla prova (come potrebbe non esserlo, del resto) e Paolo Di Stefano riesce a essere convincente, a creare un effetto di sospensione quasi iperuranica che sembra la necessaria difesa, la reazione alla potenziale perdita di sé che un avvenimento come questo non può non portare. Soprattutto riesce a rendere l’agghiacciante e sottile duplicità del rapporto tra la ragazza e il suo carceriere, dove forza e debolezza si intrecciano inestricabilmente.
Ma oltre al punto di vista della ragazza, ne sono alternati altri, in primo luogo quello del padre, Toni Scaglione, che rappresenta la vera spina dorsale temporale e narrativa del libro. Scaglione è un giornalista frustrato, disilluso, sovrappeso, separato dalla moglie. Si presenta a noi come qualcuno che non pare non aspettarsi più niente dalla vita, come qualcuno che manda avanti la macchina nel grigio. Dal momento della scomparsa, Scaglione fa una sola cosa: cercare di ritrovare la figlia. In questo, ripercorre le tappe fallimentari della sua vita familiare, fino a ricercare il senso profondo della sua paternità.
Oltre alla voce del padre e della figlia, sempre in prima persona, compare, come un coro da tragedia greca, una folla di personaggi lambiti appena dall’evento (compagne di scuola, insegnanti, vicine di casa). Ciascuno, nel breve spazio di poche righe, racconta un frammento per lo più indifferente di quello che ha visto o sentito.
Del finale, come sempre, preferiamo nulla dire. Ci sembrava soprattutto importante qui dare un’idea di un libro sofferto, che non ha paura di misurarsi con alcuni dei temi più drammatici del nostro presente con la voglia di andare al di là della pura e semplice cronaca.
di Stefano Mola