Il Campiello XLVI a Benedetta Cibrario
Settembre 3, 2008 in Libri da Stefano Mola
ROSSOVERMIGLIO IL COLORE DEL CAMPIELLO
Per un pugno di voti, 8 per la precisione, la vera da pozzo dell’edizione XLVI del Premio Campiello è stata consegnata sul palco del Teatro La Fenice di Venezia a una emozionatissima Benedetta Cibrario. Il suo Rossovermiglio (Feltrinelli) ha ottenuto 94 voti contro gli 86 di Cinzia Tani, in cinquina con Sole e ombra (Mondadori). Terza Eliana Bouchard, 43 voti per Louise. Quarto Paolo Di Stefano, il cui Nel cuore che ti cerca (Rizzoli) ha raccolto 29 preferenze. Soltanto 26 lettori della giuria popolare hanno invece scelto Chiara Gamberale e La zona cieca (Bompiani), libro che avrebbe votato chi scrive. Quindi, morettianamente, potrei dire Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone. Mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza (da Caro diario).
La citazione del Nanni sia intesa col sorriso sulle labbra e come mera constatazione statistica. Diciamo che avrei messo Rossovermiglio in seconda posizione (e non per alleviare così l’inevitabile solitudine umana). Un libro che in certi sue descrizioni dei sentimenti e della natura ho amato molto, pur restando lievemente perplesso quanto al finale. Ma ogni lettore sarà miglior giudice di me, e ciò che importa adesso è il resoconto di quanto avvenuto sabato 30 agosto in quel meraviglioso e assurdo sogno sospeso sull’acqua che è Venezia.
IL COLORE DELLE PAROLE
E procedendo dunque come i gamberi veniamo a quanto accaduto immediatamente prima della consegna, ovvero alla serata di gala. Milleduecento ospiti, il ministro Bondi, la presidente di confindustria Marcegaglia, eccetera, impossibile rendere conto di tutti i VIPS. Ancora una volta sul palco gigioneggia Bruno Vespa, come sempre non solo perfettamente a suo agio ma quasi divertito. Al suo fianco, in lungo nero con vertiginoso spacco frontale Claudia Gerini, cui è stata dedicato un monumentale filmato biografico iniziale che sembrava il bilancio d’una carriera. La Gerini ci è sembrata spigliata, ma un po’ in bilico tra il vorrei e il non oso; e a dirla proprio tutta, s’è spesso impappinata leggendo le prime righe dei cinque libri finalisti. Le segniamo comunque un più sul registro per aver cantato qualche nota di Don’t cry for me Argentina, dedicata a Lola Ponce che ha deliziato musicalmente la platea in coppia con Giò di Tonno (di cui segnaliamo il ciondolo a forma di cornetto, per la serie non si sa mai).
Due i fili conduttori. In primo luogo, il colore delle parole. Che per noi sono nere, nel senso che la stragrande maggioranza dei libri sono stampati con inchiostro di questo colore. A questo si dovrebbe guardare, e non al colore del fiocco che ha ornato il portone di casa, ovvero rosa o azzurro, di chi le ha scritte. Mi perdonerà per la mancanza di rispetto il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giani Letta, qui in veste di Presidente della Giuria dei Letterati, ma io credo che la frase giusta non fosse: avrei voluto una cinquina tutta rosa. Io avrei voluto ascoltare una cosa come: questi libri sono i cinque più belli per me.
Perché poi ci si invischia in tutto un discorso da cui è difficile uscire, che sa di riserva indiana e cose simili. Davvero nell’Italia del 2008 dobbiamo sorprenderci se quattro donne sono in finale in un premio letterario? Non è piuttosto questa sorpresa, e il continuare a parlarne, un segno negativo per la condizione della donna? Non sembra quasi, quel volere una cinquina tutta rosa, una specie di: forse ci sarebbero stati libri migliori, ma mi piaceva di più un palco di tutte donne? Come si vede tutto questo è un po’ sgradevole e mette anche un po’ di tristezza. Meglio, molto meglio sarebbe stato invece parlare di questi libri e del perché sono stati scelti, di cosa è piaciuto etc.
Invece, e qui veniamo al secondo filo conduttore, siccome al Lido c’è la Mostra del Cinema, è molto più facile fare battute su una foto di Lola Ponce insieme a George Clooney, con lei che parla della bellezza interiore dell’ex chirurgo di ER. Oppure chiedere alle autrici sul palco chi vorrebbero come protagonista qualora venisse tratto un film dal loro libro, come se il libro non potesse essere un qualcosa che vale in sé e per sé, tradotto unicamente in immagini dentro la nostra testa.
Va bene, stiamo invecchiando e perdiamo la pazienza e diventiamo brontoloni e forse prendiamo tutto troppo seriamente. Il fatto è che a noi il Premio Campiello piace molto. Ci piace il suo meccanismo, il fatto che a decretare il vincitore siano trecento lettori anonimi, magari il nostri vicino di casa o qualcuno che ha fatto con noi la coda alla posta. Ci piacciono molto i libri, e non crediamo che i premi letterari debbano essere criticati più di tanto, perché sono un’occasione per dar loro un po’ di risalto mediatico.
Così ci è piaciuto moltissimo anche quello che ha fatto il Premio Campiello per ricordare un grande scrittore recentemente scomparso, Mario Rigoni Stern: come omaggio di sala è stato distribuito Storia di Tönle, il romanzo con cui Rigoni Stern vinse a Venezia nel 1979. A seguito del breve filmato celebrativo, grande e partecipato applauso della sala, tutta in piedi.
Un applauso molto convinto ha anche avuto Paolo Giordano, salito sul palco in impeccabile vestito scuro e cravatta scura per ritirare il Premio Opera Prima. Ultima notazione mondana, l’eleganza delle hostess, vestite da Fontana Couture.
IL CAMPIELLO GIOVANI
Come ben saprete, accanto al premio per i grandi, c’è anche quello riservato a chi si affaccia al mondo della scrittura. Può partecipare chiunque abbia tra i 15 e i 22 anni, anche se residente all’estero, purché scriva in italiano. Anche in questo caso cinque sono i finalisti, e viene assegnato un riconoscimento speciale al più meritorio tra i racconti giunti da oltre confine. Durante la conferenza stampa del mattino, Lorenzo Mondo, presidente del concorso, ha raccontato di esitazioni e difficoltà nell’assegnazione del primo premio dovute all’elevata qualità media dei racconti finalisti. La nostra impressione è che si tratti complessivamente di racconti ben condotti, senza però punte di eccellenza nella qualità di scrittura, come invece in alcuni anni precedenti.
È stato proclamato vincitore Mattia Nicchio, autore di Muri sottili, in cui racconta una vicenda di delicata solitudine urbana, affrontando anche temi di una certa importanza quale la morte d’una figlia, l’omosessualità, la possibilità di un ritorno all’interesse per la vita e gli altri. Il racconto ci è parso equilibrato, senza cadute nel sentimentalismo, con alcune invenzioni secondarie ben inserite (il criceto di nome Kafka, per esempio). Noi avremmo scelto invece Alessandro Rosanò e il suo Sant’Ilario, al di sotto del 40°, della Calabria. Troviamo il paesaggio, il dialetto, la gente, la ‘ndrangheta, raccontati in modo aspro, amara, ma comunque appassionato, sentito. L’amore per la terra e la rabbia per la sua condizione, in una scrittura sentita senza troppe cadute nella retorica. Segnaliamo infine anche Michela Monferrini e il suo Certi cani randagi, dove abbiamo trovato uno stile convincente, sintetico ed espressivo. Completano la cinquina Nicolò Bazza e Francesca Santucci. Il riconoscimento al miglior racconto giunto dall’estero è andato alla svizzera Benedetta Sara
Galetti.
di Stefano Mola