Molly Sweeney
Gennaio 19, 2009 in Spettacoli da Roberto Canavesi
TORINO – Testimoni di una suggestiva esperienza sensoriale è la prima impressione registrata dopo aver assistito a “Molly Sweeney”, lo spettacolo diretto da Andrea De Rosa in scena alle Fonderie Limone per la stagione dello Stabile torinese: ispirata a un reale caso clinico del celebre neurologo Oliver Sacks, diventata testo teatrale grazie alla penna dell’irlandese Brian Friel, la vicenda è un “viaggio” nella cecità che ha per protagonista Molly, donna di quarant’anni dall’età di dieci mesi priva della vista, il marito Frank e il dottor Rice, un oftalmologo che intravede in Molly la chiave per tentare l’impresa della vita, restituendole parzialmente la vista con un doppio intervento che la medicina ufficiale riteneva del tutto inutile.
Per lo spettatore una prima mezz’ora completamente al buio con il sipario chiuso e gli attori impegnati ad occupare gli spazi della sala raccontando una sofferta parabola esistenziale che, dai primi sintomi della malattia al suo progressivo incedere, ha comunque nella donna una forte e combattiva interprete: poi la scena si illumina per disegnare, nel gelido bianco di uno spazio neutro, la parabola del ritorno all’inferno con Molly, forte di una vista parzialmente riacquisita, che non riesce a reggere l’impatto con la sua nuova vita per sprofondare in un abisso da cui non farà mai ritorno, concludendo i suoi giorni in un letto di un ospedale psichiatrico.
Ed alla fine i conti non sembrano tornare tutti non tanto per demerito degli interpreti, gli eccellenti Umberto Orsini, Valentina Sperlì e Leonardo Capuano, quanto crediamo noi per la scarso “appeal” drammaturgico di un testo che non riesce a far inossidabile presa sugli spettatori, rimanendo sempre nei confini della narrazione e riuscendo, solo a tratti, a farsi teatro.
“Molly Sweeney” di Brian Friel: uno spettacolo Emilia Romagna Teatro Fondazione/Teatro Metastasio Stabile della Toscana con la regia di Andrea De Rosa: in scena Umberto Orsini, Valentina Sperlì, Leonardo Capuano.
di Roberto Canavesi