Recensendo Don Pasquale
Aprile 19, 2009 in Spettacoli da Stefano Mola
Rendendo conto d’un Regio-Spettacolo, di solito iniziamo con le riflessioni sulla trama, su quanto le trame dell’opera parlano di noi, sulle scelte della regia, su quel miracolo favola che è il teatro.
Ebbene, di fronte al Don Pasquale in scena al Teatro Regio (repliche fino al 26 Aprile) ci preme parlare subito della musica. Non tanto di quella del buon Donizetti, ma di come il direttore, l’orchestra e soprattutto i cantanti l’abbiamo resa viva per le nostre orecchie.
Cominciamo infatti da questi ultime. Donizetti è belcanto? Ebbene, ne abbiamo sentito parecchio. I quattro interpreti principali sono tra i poker meglio assortiti che il Regio abbia calato sulle assi della scena. Iniziamo dalla deliziosa Serena Gamberoni. La sua Norina è perfetta non solo dal punto di vista scenico: il personaggio richiede infatti un mix di malizia, finta sottomissione e anche vero amore (come per esempio nella scena del duetto dell’ultimo atto). La sua gestualità è convincente e coinvolgente, e la voce non è assolutamente da meno.
Delicata, ma potente. Capace di arrampicarsi con sicurezza e leggerezza su tutte le guglie che il maestro di Bergamo le mette davanti. Timbro bellissimo.
Dunque ci voleva accanto un grande tenore: Francesco Meli nel ruolo dell’innamorato Ernesto, lo è. Diciamo che ascoltare ottime voci tenorili non è poi tanto facile. Talora sono inconsistenti, sottili, fanno venire il timore d’un velo che si squarci da un un momento all’altro. Quando Meli entra in gioco, inchioda alla poltrona. Dà veramente l’impressione di riempire la sala, potente com’è, eppure pulitissimo, senza indulgere nel sentimentalismo. Il suo Ernesto è vigoroso, pur svolgendo nella vicenda un ruolo di secondo piano, che, diciamocelo, il lavoro della trama lo fanno tutto Norina e il dottor Malatesta.
Quest’ultimo ha la voce di Gabriele Viviani, che sa reggere alla perfezione il livello dei primi due interpreti citati, così come Roberto Scandiuzzi nel ruolo eponimo. Di assoluto livello comico la loro intesa, soprattutto nella scena che precede la loro calata in giardino, quando il povero Don Pasquale spera di sorprendere la moglie in compagnia dell’amante.
Condisce il tutto la direzione del giovane Michele Mariotti, assai apprezzata non solo da chi scrive ma anche dal resto del pubblico in sala, che negli applausi lo ha elevato allo stesso rango dei quattro cantanti. Preciso, attento a cogliere ogni differenza di coloritura nello spartito, ogni piccolo cambio d’umore, spumeggiante quanto necessario. Bellissimo il raccordo tra la fine del duetto tra Norina ed Ernesto e l’entrata dell’orchestra nel terzo atto.
Fin qui ciò che ha avuto l’orecchio. E gli occhi? Nemmeno loro si possono lamentare. Lo storico allestimento che ha la regia di Ugo Gregoretti, i costumi e le scene dello scomparso Eugenio Guglielminetti tiene ancora benissimo. C’è una Roma evocata da palazzi e rovine dal sapore di acquaforte. Un’azione che si svolge sempre all’aperto, in mezzo alla vita della città, con molte comparse che sottolineano e riprendono l’azione, sia nel registro buffo (gli spassosissimi camerieri di Don Pasquale che spolverano a ritmo di musica nel primo atto) sia in quello romantico (la luna sollevata fino al cielo da un maestro e due bambini nel terzo).
Insomma, uno spettacolo godibilissimo. E poi la musica di Donizetti, se non lascia spazio a riflessioni profonde, quale quella verdiana, è pur sempre un sorso di acqua fresca quando si ha sete davvero.
di Stefano Mola