Il Don Pipeta di Pietracqua al Gobetti
Maggio 30, 2009 in Spettacoli da Redazione
Uno spettacolo storico che si snoda nelle antiche vie di Torino. Firmato: Anna Cuculo Group.
Torino, si dice, ha molte anime.
Un po’ artistica, un po’ magica, aristocratica e operaia nello stesso tempo, sonnolenta e vivace. Ma è probabile che ce ne siano molte di più.
Complesso esprimere così tante facce di uno stesso prisma.
Lo spettacolo teatrale dell’Anna Cuculo Group porta in scena una Torino variegata, in prospettiva, storica e attuale nello stesso tempo. Ed è subito spiegato il perché.
“Il figlio della vedova” è l’adattamento teatrale di due opere gemelle. Don Pipeta l’Asilè (l’acetaio) di Luigi Pietracqua, in piemontese, e la ripresentazione libera dello stesso, Il figlio della vedova di Augusto Monti, in italiano.
Pietracqua iniziò a pubblicare a puntate Don Pipeta nel 1867, in un periodo effervescente per la storia d’Italia, ma ambientò la storia nella Torino del 1737. Scelta non casuale, e infatti la sua narrazione rileggeva l’Unificazione sotto un punto di vista che oggi troveremo attuale. Torino come crocevia di nazioni: non multietnica, ma almeno cosmopolita, stratificata, sospesa fra il vecchio e il nuovo. Come a dire che il futuro si costruisce a partire dall’incontro di culture e tradizioni diverse.
Il nuovo, in quel caso, era rappresentato da una coscienza civile e nazionale, democratica, nonché dal sorgere di quelle Associazioni che fecero da cinghia di trasmissione fra le varie classi sociali. L’illuminismo del ‘700 non poteva che contrastare, in frizioni più o meno evidenti, con l’Inquisizione e l’assolutismo.
Invece quando Augusto Monti riprese il testo, nel 1951, molte cose erano cambiate. L’Italia di cui poteva parlare era un’Italia completamente diversa, ma il fascino della narrazione rimaneva identico.
Non facile confezionare uno spettacolo che tenesse conto della varietà delle circostanze, ma che anche salvasse una trama energica, solida. E certo la mole del libro di Monti, oltre 500 pagine, andava ridotta.
Per farne un’opera teatrale era necessaria qualche modifica. Così l’adattamento di Giuseppe Vatri, storico e ricercatore, già curatore di diversi palinsesti, propone ora una versione sfoltita ma comunque avvincente del Don Pipeta.
“Le due opere si distinguono per la coralità, ” Commenta Vatri. “Persino il personaggio principale è un protagonista minore. Più di lui sono importanti le situazioni, le voci del popolo e dei potenti, i caratteri e i mestieri; le contrade e i borghi, la campagna di fuori e le vigne al di là del fiume”.
Dunque, come risolvere il problema?
“Condensare un racconto così disteso nelle figure, nel tempo e nello spazio, chiama a fare delle scelte intorno a una trama possibile e ad alcuni snodi filosofici più rappresentativi. Si deve valorizzare il personaggio principale e un numero preciso di ambienti, ma si perde un po’ di coralità e la varietà delle location”.
La vicenda si svolge tutta nella vecchia Torino, quella del quadrilatero romano per intenderci, dove edifici e botteghe si alternavano senza sosta. E dove anche risiedeva il Tribunale del Santo Uffizio (nell’opera di Pietracqua vero e proprio antagonista) in contrada san Michele, ovvero la chiesa di San Domenico.
Divisa in due tempi di circa cinquanta minuti l’uno, la pièce mostra già nell’antefatto il drammatico esordio di Don Pipeta: costretto a vivere vendendo aceto dopo l’imprigionamento e l’uccisione della madre da parte dell’Inquisizione.
Fra arresti, fughe, momenti di profonda amicizia e d’amore, le peripezie di Don Pipeta e dei suoi compagni attraversano l’antica città. Il tutto intervallato da momenti divertenti che smorzano la tensione e danno sale e leggerezza alla rappresentazione. L’amicizia sicuramente e il sentimento fraterno, che accomunano personaggi tanto diversi, sono il tema dominante dello spettacolo. Un messaggio valido ancora oggi e, si spera, immortale nella sua sfumatura di solidarietà.
Coerente con la stratificazione di significati, anche il fitto numero di personaggi presenti sulla scena. Tantissimi, per un’opera che vuole essere “solo uno studio” del romanzo di Pietracqua.
E, come sempre, un lavoro di cesello da parte della regia e degli attori, distribuito in quasi due mesi di prove.
Anche questo è un metodo per presentare la varietà e la complessità dell’opera.
Nel 1861, Pietracqua si chiedeva: “come sarà Torino fra 150 anni?”.
Bella domanda, che richiederebbe oggi una risposta altrettanto seria. Forse per riuscirci gioverebbe una sintassi non banale, a definizione non univoca, ma variopinta: un po’ artistica, un po’ magica, dimessa e ribelle nello stesso tempo, antica e moderna.
Tutto nella stessa risposta. O nella stessa città.
IL FIGLIO DELLA VEDOVA
STUDIO PER DON PIPETA L’ASILÈ
Rappresentazione storico-popolare torinese
dal romanzo di Luigi Pietracqua
Adattamento teatrale a cura di: Giuseppe M. Vatri
Regia di: Anna Cuculo
Teatro Gobetti, Via Rossini 8, Torino
3, 4, 5 giugno 2009 ore 21.00
Personaggi e interpreti:
Battista (don Pipeta), l’acetaio: Paolo Severini
Stefano Borello, operaio tintore con bottega: Vincenzo Santagata
Angelo Parodi, il professore: Domenico Brioschi
Roggero, un (forse) notaio: Eugenio Gradabosco
Primo Inquisitore, padre Angelo: Riccardo Forte
Secondo Inquisitore, padre Giovanni: Sebastiano Di Bella
Lucia, madre di Stefano Borello: Rossana Bena
Adele, figlia di Stefano Borello: Francesca Cassottana
Un frate, padre Bastiano: Alessandro Curino
Pietro Domenico Olivero, ‘l pitur: Massimo Arbarello
L’autore, Luigi Pietracqua: Fabio Sciacca
Aurelio Turcotti, scrittore e studioso: Ezio Graziano
Un cameriere: Claudio Bertassello
e ancora
Caterina Picchiù: Rossana Bena
Un gendarme: Vincenzo Santagata
Un caporale: Eugenio Gradabosco
Giovanni Toselli, ‘l capo-comico: Paolo Severini
Giacinta Pezzana, la sua prima: Rossana Bena
L’Esperto: Claudio Bertassello
Un Frate-Cavaliere di San Maurizio: Alessandro Curino
Assistente alla regia: Pietro Giau
Assistenti tecnici: Silvio Demaria e Gianpiero Bedrone
Disegni di scenografia dal vivo a cura di: Anna Giuliano
Consulenza costumi: Agostino Porchietto
Colonna sonora a cura di: Anna Cuculo, realizzata da Vincenzo Santagata
di Davide Greco