Affonda il Pinocchio di Spielberg
Ottobre 19, 2001 in Cinema da Redazione
“A.I. Artificial Intelligence” di Steven Spielberg, con Haley Joel Osment, Jude Law, Frances O’Connor e William Hurt (Usa 2001).
Povero Pinocchio, ma, soprattutto, povero Stanley Kubrick. Il regista inglese nei suoi ultimi giorni affidò a Steven Spielberg il progetto di “A.I.” al quale aveva lavorato per anni. Ora quel progetto è diventato un film, da qualche giorno nelle sale italiane. Se l’intenzione di Spielberg era quella di portare a termine il lavoro di Kubrick il fallimento è totale. E’ difficile pensare ad una pellicola più lontana dallo spirito e dalla “grammatica” filmica dell’autore di “Shining” e “Barry Lindon”. Ma il dato preoccupante è che il film è lontano anche dagli standard dello stesso Spielberg: non dalla poetica (bambini, alieni e situazioni politicamente corrette non mancano neanche stavolta) e neanche dalla insindacabile perizia tecnica. C’è, piuttosto, una vuotezza di fondo che nessun effetto speciale può nascondere.
E’ il solito discorso. Il denaro copre le lacune di sceneggiatura, gli effetti speciali servono a mascherare la vuotezza di una storia che si sviluppa fra autocitazioni e plagi. Il finale è identico a quello di “Contact”, film peraltro bellissimo di Bob Zemeckis che certo non protesterà essendo stato lanciato nello star system dal lungimirante Spielberg. Dicevamo dell’inconsistenza della sceneggiatura. L’aspetto più inquietante della vicenda è dato dal fatto che Spielberg sia tornato a scrivere un copione a 24 anni di distanza dal suo ultimo (e unico) impegno come sceneggiatore. Allora fu “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, il suo film migliore insieme a “Schindler’s List”. Questa volta è la riscrittura in chiave fantascientifica del “Pinocchio” di Collodi. In un mondo diviso in “orga”, umani, e “mecca”, robot, David è un robot bambino programmato per amare che, cacciato di casa per l’incompatibilità con il figlio organico dei suoi genitori adottivi, si muove alla ricerca della Fata Turchina, l’unica in grado di trasformarlo in un vero bambino. Sulla sua strada David, interpretato dal piccolo e bravo Haley Joel Osment già visto in “Sesto senso”, incontra Gigolò Joe (un robot programmato per soddisfare i desideri sessuali delle donne) con la faccia, questa sì molto kubrickiana, dell’algido Jude Law. Nel percorso del robot bambino non mancano né Mangiafuoco, né il Paese dei Balocchi.
La pellicola presentata con l’etichetta di film-fiaba lascia scontenti tanto gli adulti quanto i bambini, affondando in un mare di melassa. “Ti voglio bene” è frase ripetuta fino all’ossessione, così come “Non sono un robot, sono un vero bambino”, ma questo è un vecchio vizio di Spielberg, quello di esplicitare tutto affinché tutti comprendano, affinché tutti vadano a riempire le sale. Ci sono anche alcune scene kitsch (su tutte quella della fiera della carne…) terreno nel quale Spielberg non si era mai addentrato. Non sembra neanche che dietro la macchina da presa si sia seduto l’autore di “Schindler”, di “Incontri” o del “Soldato Ryan”. “A.I.” è un caso a parte e, speriamo, resti eccezione e non diventi la regola. Eppure, nonostante tutto, chi scrive ha visto qualcuno asciugarsi le lacrime all’uscita della sala. Forse, ripensando ai soldi spesi per il biglietto.
di Davide Mazzocco