Alberto Sinigaglia: il giornalismo da Venezia a Torino
Maggio 24, 2001 in il Traspiratore da Redazione
L’eleganza e l’aristocrazia di Venezia paiono riflettersi nello sguardo e nei gesti dello scrittore e giornalista Alberto Sinigaglia, cinquantadue anni, da quasi trenta a La Stampa, dapprima come responsabile dei servizi culturali, ora dei progetti editoriali.
Che tipo di giornalista si considera?
Mi considero un giornalista che scrive poco, quasi non scrive, per aiutare gli altri a scrivere, aiutato, in questo, dal fatto di essere diventato, una volta entrato a La Stampa nel 1971 come redattore di politica interna, responsabile della Terza pagina. Ho preferito scegliere il lavoro di regia e di maieutica, impegnandomi perché le grandi firme del giornalismo internazionale si sentissero stimolate e capite nel loro lavoro.
Ho guidato la redazione del quotidiano torinese quando, nell’autunno del 1975, è stato fondato il settimanale Tuttolibri, il cui vero e proprio fondatore è stato, comunque, Arrigo Levi, allora direttore de La Stampa, accanto a Carlo Casalegno, vicedirettore. Personalmente è stato più importante fondare quello che è rimasto il primo e l’unico settimanale di libri uscito in Italia, piuttosto che scrivere un libro.
La decisione che prese di fare un lavoro giornalistico così schivo non le ha impedito di svolgere, all’inizio della carriera, un’attività radiofonica e televisiva molto intensa. Che cosa pensa al riguardo?
Ho promosso la stesura delle interviste proposte nel talk-show “Vent’anni al Duemila”, trasmesso su Raitre, perché contengono riflessioni ed opinioni intorno al nuovo millennio raccolte due decenni prima del suo inizio. Furono rivolte a personaggi emblematici del mondo culturale, politico e religioso: il filosofo Norberto Bobbio, il cardinal Michele Pellegrino, scelto in quanto esponente centrale del mondo religioso, Umberto Eco, conoscitore dell’ermeneutica e della comunicazione, Rita Levi Montalcini, lo psicanalista Cesare Musatti, gli scrittori Andrea Zanzotto, Alberto Arbasino ed Italo Calvino, di solito poco inclini alle interviste.
Un’altra trasmissione che realizzai, su Raitre, fu intitolata “Fatti di famiglia”, incentrata sul tema della convivenza; inaugurava un filone di programmi destinati poi ad essere volgarizzati dalla televisione. Negli anni Ottanta feci un’indagine sulla situazione dell’informazione e del giornalismo, non a caso intitolata “Quarto potere”, dal film di Orson Welles. Da questa ricerca emerse la tendenza, già allora presente, da parte del giornalismo di mettersi in discussione, non avendo, purtroppo, una diffusione sufficientemente alta per un Paese democratico come l’Italia.
Quali contatti e relazioni con intellettuali e scrittori ha sviluppato nel corso del suo incarico a Tuttolibri?
La mia natura di intellettuale ed il mio iniziale incarico a La Stampa, quale redattore di politica interna, hanno fatto sì che potessi diventare l'”amico degli scrittori”. In particolare Italo Calvino ed Andrea Zanzotto furono miei amici fraterni, una categoria nella quale possono sinceramente inserire anche gli scrittori Claudio Magris, quasi mio conterraneo, essendo di Trieste, Primo Levi e Mario Rigoni Stern.
Anche la mia esperienza giornalistica precedente l’ingresso nel quotidiano subalpino, quando entrai, appena diciottenne, alla Mondadori, è stata, sicuramente molto produttiva. Nella casa editrice milanese collaborai con il poeta Vittorio Sereni, responsabile letterario della Mondadori, frequentai Marino Moretti ed Aldo Palazzeschi.
Al suo impegno giornalistico si accompagnano anche legami molto vivi in campo musicale, non è vero?
Sono stato attivo in campo musicale da quando fondai, a Milano nel 1980, con il maestro Mario Delli Ponti, il mensile “Musica viva”. Anni dopo fondai e diressi “Il giornale della musica” e, recentemente, ho curato per la Rizzoli i volumi “Massimo Mila alla Scala”, “I teatri di Fedele D’Amico”, “Scena e retroscena” e l’autobiografia di Gianandrea Gavazzeni. Mi sento particolarmente legato al mondo musicale, siccome ho studiato pianoforte e composizione; pur non diplomandomi, sono stato allievo ed amico di Malipiero e Maderna. Mi piacerebbe riuscire a creare un punto di contatto tra Claudio Abbado e Riccardo Muti, entrambi miei cari amici, che apprezzo non solo per le loro doti musicali, ma anche per la loro grande generosità d’animo.
Quali città ama di più tra Milano, Torino e Venezia?
Venezia è, sicuramente, la città che amo di più, nonostante sia il primo veneziano vero della mia famiglia. Venezia è stupefacente per la sua bellezza e perché facilita la capacità di riflessione. Nei confronti di Milano sento una profonda gratitudine per avermi consentito di lavorare per una casa editrice così prestigiosa come la Mondadori. Ho frequentato a lungo la Scala e partecipavo alle riunioni di intellettuali a casa di Wally Toscanini.
Torino, d’altro canto, si può considerare il mio terzo grande amore; è una delle città più belle d’Europa, che sembra, a prima vista, lontana, ma incomparabilmente bella. A Torino vivo da ventinove anni e ciò mi ha segnato profondamente, in particolare per la fondamentale esperienza che ho compiuto in Rai.
Quali sono oggi i suoi incarichi?
Accanto all’attività giornalistica, oggi mi occupo, come professore del Corso di laurea in Scienze della comunicazione, dei problemi della comunicazione. Mi rattrista il fatto che, pur essendo approdati al fatidico Duemila e pur peccandoci di modernità, leggiamo molto poco. In Italia, in almeno un milione di famiglie non entra neanche una copia di un quotidiano in un anno.
Mi occupo anche di studiare le trasformazioni dei giornali e del giornalismo, alla luce delle nuove tecnologie. Sono certo che il computer soppianterà la carta stampata, che, però, conserva un fascino incomparabile.
di Mara Martellotta