Alexandra Lapierre: Artemisia
Febbraio 18, 2001 in il Traspiratore da Simona Margarino
Edito in originale da Editions Robert Laffont, S.A., Paris, nel 1998, “Artemisia” di Alexandra Lapierre, apparso in Italia nella collana “Omnibus” (aprile 1999), Mondadori, e da poco ristampato tra gli Oscar, offre al lettore la storia di una delle più notevoli pittrici che il nostro Paese abbia mai conosciuto: Artemisia Gentileschi Lomi (1593-1653).
Basandosi su di un’ampia quanto variegata bibliografia, il testo spazia da fonti manoscritte (atti di tribunali, fonti d’archivio, documenti della Biblioteca Vaticana, etc.) a opere, quali Women Artists, a cura di Ann Sutherland Harris e Linda Nochlin. A differenza dei suoi testi d’ispirazione, Lapierre sceglie tuttavia la forma del romanzo per meglio rendere la tensione e lo spessore di una vita d’artista sempre sospesa tra il dramma e la fatalità.
Ambientata dapprima nella Roma papale e poi a Firenze, Venezia, Napoli e Londra nella prima metà del ‘600, epoca erede dei grandi Caravaggio e Galileo, l’opera ripercorre l’esistenza di una donna che, cresciuta in un atelier permeandosi, fin dall’infanzia, degli intensi odori di trementina, colla, resine, vernici ed oli, lotta per imporre il proprio talento in un mondo, quello degli artisti, da sempre maschile, furiosamente competitivo, violento. Le ombre che circondano i suoi passi verso la fama e il successo sono gli acri spettacoli della giovinezza -la morte prematura della madre, le pubbliche esecuzioni in piazza, il peso del disonore, le maldicenze- e i tristi eccessi della maturità -i maltrattamenti del marito, il decesso di due figli, i tradimenti, il viaggio ultimo di quattro mesi in un’Europa infestata di lazzaretti e devastazioni.
Il suo destino, tutt’altro che facile, la porterà infatti a subire, ancora diciassettenne, uno stupro da parte di un amico e collaboratore del padre, Agostino Tassi, e in seguito a sperimentare un matrimonio fallito e il succedersi di innumerevoli, illustri amanti, veri o inventati (il pittore Cristofano Allori, il terzo Duca d’Alcalà Fernando Enriquez Afan de Ribera, il musicista del re d’Inghilterra Nicholas Lanier). Lo scandalo del processo, la vittoria parziale -Tassi sarà condannato all’esilio, mai scontato, in realtà, e quindi la sentenza revocata-, i dubbi, si fanno note di un motivo che, tra gelosie, sensualità, colpe e vendette cantano la profonda tenacia della pittrice, prima donna ad assere ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze (alla quale avevano chiesto l’affiliazione anche Tiziano e Michelangelo!) e a guadagnarne, pertanto, la propria emancipazione giuridica.
Ciò che domina e dirige l’orchestra è senz’altro il rapporto di odio-amore verso la famiglia, incarnata nel padre Orazio (1563-1639), anch’egli famoso pittore, con cui Artemisia combatte sino alla fine per rivendicare il proprio genio. La struggente e teneramente romantica visione dell’uno si trasforma, attraverso la durezza dell’esperienza dell’altra, in un capolavoro di tinte fosche, passionali, audaci. E così, nella processione di religiosi e credenti, nell’aria intrisa di incenso e sullo sfondo di corti invidiose, guerre, quartieri ove il sangue e il pugnale regnano incontrastati, si dipana e chiude la partitura di una musica -universale e ribelle- che in poco più di mezzo secolo infrange tutte regole pur di ottenere gloria e libertà.
di Simona Margarino