Alfredo Trentalange per Traspi.net
Maggio 31, 2004 in il Traspiratore da Claris & Momy
Lo studio è ricco di cimeli, ricordi e fotografie che, muti, raccontano i 30 anni passati sui campi di pallone e portano alla mente i luoghi comuni del ‘correre tanto e parlare poco’ che caratterizzano la professione di arbitro, a prima vista tra le più scomode. Infatti, quando i giudici di gara sono i migliori in campo non se ne parla, quando sbagliano sì, subito e tanto. Eppure, senza di loro, lo sport non potrebbe esistere. Ne parliamo con uno dei maggiori arbitri italiani di sempre, la cui disponibilità, cultura e simpatia ci avvolgono in una conversazione appassionata, ma distesa. Lui è Alfredo Trentalange, ‘fuori dal giro’ per limiti di età, dopo 15 anni e quasi 200 partite in Serie A, due finali di Coppa Italia, 10 anni di sfide di Coppe europee…
‘Sport’, che definizione dai a questa parola?
Per me lo sport è il recupero settimanale dell’infanzia perché, senza scomodare Platone che diceva che mentre i barbari giocano gli ateniesi fanno sport, io ho iniziato a fare sport da piccolo, quando era semplicemente un gioco. Poi mi sono accorto che nel gioco il rispetto delle regole ha una parte predominante, che non è solo importante la tecnica, ma anche l’etica, la deontologia, il comportamento, la morale e allora mi sono confrontato subito con altri dati della realtà, come la lealtà, il cercare di non essere arroganti nella vittoria ed il non deprimersi più di tanto nella sconfitta. Tutte variabili che mi hanno accompagnato anche nel quotidiano, come buon cittadino prima ancora che come cristiano.
Come è nata la vocazione per l’attività arbitrale?
Da sempre sono un appassionato del gioco del calcio: dalle prime partite all’oratorio al provino nel settore giovanile di una squadra di Torino dai colori granata. Lì, dopo mezza partita, per farmi sgombrare velocemente il campo, mi hanno consigliato di fare l’arbitro o il giornalista. Così a 16 anni, appena possibile, mi sono iscritto al corso da arbitri!
Allora la motivazione principale era quella di poter rimanere sul rettangolo di gioco per soddisfare la sete di calcio. A differenza di quel che si pensa, però, non si inizia a fare l’arbitro perché si è frustrati per tutta la settimana, perché si deve sempre dire sì a genitori e professori o capiufficio, ed invece , finalmente, la domenica ci si può travestire di bieco autoritarismo e comandare.
La verità è che la maggioranza delle persone che fanno l’arbitro esaudisce e sperimenta su se stessa un ideale di giustizia e di equità. In un campo di calcio, in pochi attimi, in un ambiente ostile devi prendere una decisione ed assumertene la responsabilità. E’ estremamente difficile applicare questi parametri, ecco la vera sfida!
Un episodio curioso della tua carriera…
Il mio esordio in Serie A, Napoli-Pisa, al San Paolo, 63.000 spettatori. Dopo un po’ di falli fischiati contro il Napoli, un gruppetto di giocatori venne a protestare (qualcuno di questi gioca ancora…), ma Maradona disse “lasciatelo stare, questo è uno bravo e poi è mio amico”. Io ovviamente non l’avevo mai conosciuto prima… comunque, smisero tutti di protestare! Ma quando Maradona venne sostituito, ricominciarono le proteste!
Altri episodi curiosi sono di carattere culturale: ad esempio in Asia mi è capitato di ammonire un giocatore che si metteva le mani nei capelli perché avevo interpretato il gesto come una protesta, mentre nella cultura locale questo è un gesto di sottomissione, come per dire “hai ragione”.
La tua maggiore soddisfazione?
Riuscire a gestire partite di alta difficoltà tecnica, come quelle di Champions League, come Sporting Lisbona-Real Madrid, che aveva dei precedenti poco felici, oppure Goteborg-Manchester. E poi i due derby Inter-Milan a San Siro, un sogno di bambino realizzato.
Consiglieresti ad un teen ager la carriera arbitrale?
Sicuramente sì e inviterei tutti a provare ad arbitrare almeno una volta una partita di calcio, perché è un’esperienza incredibile, dove il tuo migliore amico è in grado di insultarti oppure di comportarsi in modo che mai ti saresti aspettato. Al di là di questo, soprattutto per un ragazzo giovane, a livello formativo è formidabile e ritorna poi utile nella vita, nel quotidiano, pensare di mettersi da solo ad applicare la giustizia, essere imparziale, cercare di non essere emotivamente coinvolto e mantenere l’equilibrio, assumersi la responsabilità delle proprie decisioni.
Perché agli arbitri non si perdonano mai gli errori, mentre ai calciatori sì?
E’ un fatto culturale. Nessuno fa formazione, o cultura, in questo senso. E poi perché è molto più comodo prendersela con qualcun altro, è una legge autoconservativa! E’ un grande alibi dire che si è persa la partita non per colpe proprie ma per colpa dell’arbitro.
Riflettiamo però sui danni che si possono provocare. Pensate ad un allenatore che dice ai suoi ragazzi “abbiamo perso la partita per colpa dell’arbitro”; il messaggio che sta mandando ai suoi giocatori, in verità, è “non è colpa vostra se abbiamo perso”. Per i giocatori è un disinvestimento di responsabilità enorme, vuol dire avere una scusante.
Questo alibi lo usano tutti: un presidente non può dire “ho sbagliato la campagna acquisiti”, un giocatore “ho sbagliato solo davanti al portiere”, un allenatore “ho sbagliato a mettere la squadra in campo”. Tutte variabili verosimili, esattamente come l’errore dell’arbitro, solo che a quest’ultimo viene data un’enfasi diversa, salvo poi almeno dire “però non era in malafede”.
Si parla tanto di sudditanza psicologica, esiste?
E’ un termine improprio ed abusato. Io ne ho sempre e solo sentito parlare. Attenzione, poi, perché potrebbe anche esistere l’inverso: se sei uno sempre attento agli ultimi e ritieni più simpatici i deboli, allora potresti correre il rischio contrario!
E’ un paradosso, certo, ma consideriamo che nessun arbitro arriva dal niente ad arbitrare la grandissima squadra: prima passa attraverso il settore giovanile, la terza, la seconda e la prima categoria… viene giudicato ogni domenica per anni. E se si atteggia in modo “favorevole” ad una squadra piuttosto che ad un’altra viene subito penalizzato.
L’arbitro non arriva ai massimi livelli per poi subire questo tipo di sudditanza. Questo non vuol dire che tutte le squadre abbiano lo stesso peso, ma semplicemente che vanno trattate, tutte, allo stesso modo, altrimenti cadrebbe l’ideale di giustizia. Poi può succedere di sbagliare, questo sì.
Come viene visto un arbitro dai calciatori? Si può essere amici?
Amici è una parola grossa, però nell’arco di una carriera i momenti di contatto e di confronto sono tanti. E’ importante considerare che sul terreno di gioco non ci sono barriere: in braghe di tela viene fuori l’uomo come realmente è.
Nei miei confronti ho avuto grandissimi gesti di solidarietà. Ricordo, in partite di coppa all’estero, giocatori che mi hanno aiutato ad individuare quale fosse il compagno da espellere. In una partita ho ritrovato un pallone, che era uscito, dentro la rete, ma chi aveva tirato mi disse “no, guardi che il pallone era uscito!”. Mi è successo anche che i giocatori mi abbiano dato una mano nel tenere calmi i colleghi. Viceversa è successo che qualcuno simulasse falli mai subiti…
Il calcio è la metafora della vita, sul campo esce la vera natura delle persone, comunque sul terreno di gioco c’è sempre il rispetto del ruolo.
Saresti d’accordo a mettere le telecamere in campo e ad interrompere il gioco in caso di controversie, stile football americano?
In linea di massima
non si conosce ciò che non si sperimenta, per cui, prima di deciderli bisognerebbe sperimentare a lungo tutta una serie di cambiamenti. Io sono favorevole ad una soluzione che decida per il gol-nongol, però mi piace pensare di avere lo stesso calcio, con le stesse regole, dall’ultima partita del settore giovanile alla finale di coppa del mondo.
Pensionato a 45 anni, è una definizione giusta? Come occupi il tuo tempo
Pensionato senza pensione, nel senso cha agli arbitri non danno la pensione!!! Faccio parte della commissione nazionale degli arbitri di serie C, che vuol dire, tra l’altro, vedere molte partite, leggere i rapporti dei commissari su arbitri ed assistenti. Di fatto sto “imparando a fare il dirigente”.
Attualmente, per di più, oltre a mantenere l’incarico di educatore professionale a Villa Cristina, casa di cura neuro-psichiatrica torinese, collaboro anche con Torino 2006 per la promozione dei valori etici dello sport: l’appuntamento olimpico è un’occasione unica per sostenere i veri valori dello sport, per far vedere ai ragazzi che dietro all’evento sportivo ci sono sacrifici, valori, c’è la lealtà, c’è il far play, non solo il business.
Si parla molto di te nel ‘sottobosco’ torinese del volontariato…
Ho fondato un’associazione di volontariato che si chiama Agape e si occupa, attraverso attività di tipo sportivo e ricreativo, di persone con problemi di natura psichica. Molte volte, grazie al calcio, ragazzi con disagi psichici si relazionano con maggior entusiasmo, perché lo sport riesce ad aprire canali di comunicazione che si pensavano ostruiti, riesce dove a volte falliscono le psico-terapie.
Perché il tifo a volte si trasforma in violenza?
Secondo me le vere patologie della nostra epoca sono l’ansia e la solitudine e credo che certi fenomeni di violenza nascano da un errato desiderio di autoaffermazione.
Certi sport (ciclismo, atletica…) possono esistere senza doping?
Devono esistere senza doping, come tutti gli sport. Il doping è la negazione dello sport, equivale a falso, a sleale, e nessuno si appassionerebbe ad un gioco sleale e finto. Su questi temi ci deve essere un impegno primario e globale, a cominciare dalle scuole, per formare ed informare.
Chi identifichi come modello di ‘sportivo’ in senso lato?
Sicuramente Gaetano Scirea, che ho conosciuto e per me resta una delle persone più incredibilmente legate all’ideale di sport e lealtà.
Tempo di Europei, che pronostico per l’Italia?
Penso che possa fare bene, nonostante le tante variabili legate ad un torneo corto ed impegnativo, sia per la qualità dei giocatori che per l’organizzazione di gioco. Se poi tutti sapranno fare ‘gruppo’ avremo delle grandi soddisfazioni!
di Claris & Momy