Andrea Canobbio: “Padri di padri”
Febbraio 12, 2001 in Libri da Stefano Mola
[Einaudi, pagg. 404, Lire 32.000]
I temi di questo romanzo sono diversi, ma se volessimo scegliere un filo conduttore, potremmo dire che questo è il romanzo della continuità interrotta, dei legami interrotti. Già il titolo è significativo: non è padri di figli, che avrebbe sottinteso il legame diretto (ma sempre meno scontato a giudicare poi dalle sue realizzazioni pratiche), il modo o l’aspirazione più comune di cercare una continuità nel tempo alla propria esistenza, nel desiderio più o meno esplicito di trasmettere esperienze ed affetti e ricevere stima e magari riconoscenza.
Il titolo è invece Padri di padri, che, dal punto di vista del modello comune che assume il padre come guida del figlio, suggerisce una contrapposizione di unità perfettamente autonome, già pronte e costruite per farsi strada nel mondo. seo back links Infatti nel romanzo i figli non riescono ad accettare i propri padri, sia perché spesso si trovano a dover fare da padri ai loro padri, sia perché in fondo vorrebbero avere come padri i padri degli altri. Oppure perché viene saltato un passaggio: il figlio del protagonista si trova molto meglio col nonno che col padre.
La continuità nel tempo, interrotta sul piano genealogico, lo è anche nella struttura stessa del libro, le cui vicende non si svolgono in modo sequenziale ma sono il risultato dell’intreccio di quattro fili temporali diversi. Le storie non si svolgono parallelamente nel tempo, per portare poi i personaggi a convergere in un solo punto, ma coprono intervalli di tempo di ampiezza differente. La vicenda di Claudio Meis (che dà inizio al libro e che descrive i pochi giorni a cavallo del ponte dei Santi in cui Claudio porta il figlio a far visita al nonno) costituisce la spina dorsale su cui poi si innestano (avvolgendosi sul presente ma provenendo sia dal passato sia dal futuro rispetto al tempo della vicenda di Claudio) il racconto della vita del cognato Andrea, il tentativo del padre di Claudio di isolarsi dal mondo nell’illusione di fermare il tempo, la vicenda del suocero che ha deciso di ritirarsi dal mondo ma che persiste nell’illusione di modificarlo, spedendo lettere a svariati personaggi.
Questo intrecciarsi di piani temporali diversi e di archi temporali diversi permette di guardare i rapporti tra i vari padri e figli da molte prospettive differenti, ampliando e stringendo di volta in volta il campo.
La continuità è interrotta anche nel rapporto che i diversi personaggi hanno con la realtà. Claudio insegna tecniche di vendita ma è il primo a non crederci, essendo per carattere strutturalmente inadeguato: è in fondo una specie di ribelle velleitario, che si inalbera tra sé e sé contro le brutture e la maleducazione del mondo, un timido in bilico tra le sue azioni previste e recitate mentalmente in anteprima e il risultato spesso tragicomico delle sue attuazioni, fuori posto, per usare una delle immagini del libro, come un orso in bicicletta.
Il cognato Andrea è invece sempre ai margini della vita, escluso all’interno della sua famiglia, a causa di un rapporto altamente conflittuale col padre, ed escluso per buona parte anche dai rapporti con gli altri (si veda ad esempio il bellissimo capitolo in cui questo è reso descrivendo una festa a sorpresa in onore della sorella), e vive di attività ai margini della legalità.
Il padre di Claudio desidera fermare il tempo, riducendolo a una sequenza di azioni numerabili, catalogabili, sempre uguali (si veda ad esempio il capitolo in cui si rigira nel letto in preda all’insonnia, e cataloga le quattro posizioni che il suo corpo può assumere in quattro fasi investendole ognuna di un significato ben preciso) ma per far questo l’unica possibilità è, appunto, evitare il contatto con la realtà carica di imprevisti.
Anche lo suocero di Claudio rinuncia al rapporto con la realtà rifiutandola nella sua bassezza, nel suo essere dominata dal denaro e dalla meschinità, ma non può far altro che limitarsi all’invettiva.
Tutte queste vicende di rapporti difficili con il reale trovano però un’ambientazione molto radicata nel paesaggio italiano contemporaneo, descritto attraverso quelli che con una felice espressione sono stati definiti i non-luoghi: le autostrade, gli autogrill, i centri commerciali (lascia dunque lievemente perplessi la scelta dell’autore di mascherare le città reali attraverso i nomi dei santi patroni).
Una nota per concludere sulla lingua: pur dovendo affrontare temi sicuramente importanti, le vicende vengono rese con uno stile agile, ricco di immagini e metafore, sottilmente ironico, e con alcune scelte sicuramente originali, tra cui quella che fa iniziare alcuni capitoli con una sequenza di proverbi e luoghi comuni uno dopo l’altro, generando un curioso effetto di saturazione e straniamento, e al tempo stesso, perfettamente funzionale a introdurre il tema del capitolo stesso.
di Stefano Mola