Aspetta primavera, Lucky
Marzo 11, 2011 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Aspetta primavera, Lucky |
Autore: | Flavio Santi |
Casa editrice: | Socrates |
Prezzo: | € 9,00 |
Pagine: | 144 |
Questi, i sessantenni, hanno rovinato l’Italia, e continuano a farlo. Mio padre ha distrutto questo Paese, il padre di Giulia, quello di Sveva, e tutti i loro coetanei, non importa se amici o nemici. Alleati però certamente in una distruzione scellerata e sistematica, attraverso un sistema di raccomandazioni, reticenze, taciti accordi, adulazioni, false ribellioni. Questo Paese si è mangiato sé stesso, viscere comprese.
Chi pronuncia questa invettiva è Flavio Sant, il protagonista del romanzo a cui manca soltanto una i nel cognome per essere esattemente omonimo del suo autore. Flavio è uno che vive con le parole in tutte le loro incarnazioni. O piuttosto, che cerca di barcamenarsi, soprattutto grazie alle traduzioni, che per lui sono in primo luogo un numero di pagine. Il centosettanta, o il duecento. Quanto maggiore il numero di pagine, tanto maggiore è la quota di spese vive che possono coprire.
Barcamenarsi significa per esempio viaggiare sull’Eurostar Milano-Roma nei bagni, monitorando continuamente la posizione dei controllori. Barcamenarsi significa a un certo punto realizzare che questo mese forse non ce la si fa. Il romanzo è così anche un viaggio nel precariato intellettuale, in un paese che ha rotto il legame tra la conoscenza e il merito. Può così essere difficile capire, per i parenti friulani, abituati a misurare il concreto (tanti chili pesa un maiale, tanto sarà la resa) che tanti anni di studio non generino automaticamente uno stipendio commisurato.
(e genera un sorriso amamramente la lettera che Sant scrive a Veltroni dove riesuma la vicenda di Marianna Madia, ovvero colei che disse, tra le altre agghiaccianti cose, Porterò la mia inesperienza in Parlamento)
Flavio si muove tra redattori disincantati, autori vanitosi, conduttori di trasmissioni sui libri che confessano di non leggerne, in un continuo borborigmo intellettuale, consumato per lo più interiormente: urlare il suo vaffanculo è soltanto un sogno. E si barcamena anche da un punto di vista affettivo, tra Giulia, la moglie insegnante tuttora comunista e okkupazionista, l’amante romana Sveva e il rapporto occasionale con una studentessa.
Al di là dei fili conduttori dell’invettiva (peraltro assolutamente attuale) e della triste disamina della condizione dell’intellettuale in Italia, il libro vive anche di folgoranti divagazioni ironiche e oniriche: l’analisi di Beautiful e dei nomi dei suoi personaggi, il sogno iniziale su cosa ne sarebbe stato di Pasolini se non avesse mai lasciato il Friuli natio, la breve storia paracula della letteratura italiana. Altrettanto degna di nota la qualità della scrittura di Santi: una prosa ricca, precisa, al tempo stesso priva di ricercatezza e vezzi (e ci viene il sospetto che questo possa derivare anche dalla sua attività di traduttore, un ruolo che obbliga necessariamente a porsi il problema della lingua e alla lotta con il testo).
Rimane talora una sensazione di staticità, di ciclicità, forse l’assenza di una vera trama forte. Ma non è questo forse lo specchio della situazione di una intera generazione?
Flavio Santi (1973) vive in campagna alle porte di Pavia. Alterna l’attività di traduttore (Balzac, Celan, Gifford, Kelman, Stone, Smith ecc.) a quella di libero docente universitario. È autore di libri di poesia, tra cui Rimis te sachete (Marsilio, 2001), Il ragazzo X (Ed. Atelier, 2004), dei romanzi Diario di bordo della rosa (PeQuod, 1999) e L’eterna notte dei Bosconero (Rizzoli, 2006), della raccolta di racconti La guerra civile in Italia (Sartorio, 2008). Suoi racconti, romanzi e poesie sono tradotti in numerose lingue.
Il critico Roberto Carnero, su Letture (n° 640, 2007) lo ha inserito tra i dieci piccoli scrittori dal grande avvenire.
di Stefano Mola