Aspettando Godot al Festival delle Colline
Luglio 2, 2007 in Spettacoli da Roberto Canavesi
Aspettare Godot e perdere Beckett, un ossimoro della scena che Antonio Latella riesce a rendere reale nell’allestimento andato in scena per il Festival delle Colline Torinesi.
E venne il giorno in cui a forza di aspettare Godot si finì con il perdere Beckett: per alcuni un rischio del mestiere, di certo una variabile chissà da quanti messa in conto tra i registi ed interpreti che in decenni di allestimento si sono cimentati con il teatro dello scrittore irlandese.
Aspettare Godot e perdere Beckett, un ossimoro della scena che Antonio Latella riesce a rendere reale nel suo allestimento andato in scena al Teatro Gobetti per il Festival delle Colline Torinesi: un testo negli anni più volte rappresentato, analizzato, tradotto, sottoposto a letture ed interpretazione tra le più svariate, ed ora presentato, nella sempre bella tradizione di Carlo Fruttero, all’apparenza privo di quelli che sono stati fino ad oggi considerati i suoi elementi fondati. A partire dalla prospettiva dello spettatore non più comodamente seduto in platea, ma disposto a corona sul palcoscenico, quasi a voler esser anche lui protagonista e testimone dell’infinita attesa di un Godot che mai arriverà.
E poi la doppia presenza del celebre salice, nel primo tempo esile tronco pendente sul proscenio, ma anche tappeto di assi su cui i personaggi camminano, quasi a voler calpestare e consumare la stessa parola beckettiana: immagine dal forte simbolismo che, nel secondo atto, diventa scenografia pura con gli assi tra di loro sovrapposti a formare un tronco al bisogno luogo di rifugio, ostacolo insormontabile o trave ginnica su cui fare improvvisati esercizi di equilibrismo. Ma la maggior frattura di Latella risiede, soprattutto, nello svuotamento della parola da tutti quei beckettismi di maniera che tanto ne hanno contaminato la rappresentazione, un nuovo impulso recitativo che tanto gli applauditi Vladimiro ed Estragone di Fabio Pasquini e Annibale Pavone, quanto i bravi Stefano Laguni e Giuseppe Papa nei panni di Pozzo e Lucky, rendono al meglio in un prodotto scenico forse molto distante dai cliché abituali, ma non per questo meno interessante. Quel che si guadagna in ritmo si perde, forse, nella gestione di quelle pause che per lo stesso autore erano assai più importanti delle parole, ma l’impressione finale per lo spettatore è quella di esser stato parte integrante di un rito collettivo, un evento in cui la funzione del vedere la si è esercitata attivamente ma la si è anche subita, spiati da una platea piena di bombette che fanno capolino sulle meste note finali di una dolente ritirata.
Ma alla fine chi è questo Godot che tanto si aspettava, si chiede una spiazzata ragazza all’uscita dal teatro: mai, come nel Godot di Latella, poco importa chi fosse veramente…
di Roberto Canavesi