Attraverso il velo di Maya
Marzo 1, 2003 in Spettacoli da Redazione
Il Mutamento ZC (Zona Castalda) – TeatrodelleTrasmigrazioni – compagnia attiva dal 1995 come branca teatrale dell’omonima associazione torinese – porta in scena il nuovo spettacolo scritto e diretto da Giordano Vincenzo Amato (regista e creatore del gruppo): “Primo studio per Maya”, primo pezzo di una rappresentazione che vedrà la luce a novembre. Lo spettacolo s’inserisce nella rassegna organizzata dal Mutamento ZC “Una Via Teatrale” che ospita pièces orientate verso la ricerca e lo studio di soluzioni sceniche innovative e multiartistiche.
E’ la prima volta dopo molto tempo che Amato torna a scrivere per il teatro e lo fa con un’opera che prosegue ed approfondisce l’indagine sulle relazioni degli opposti, in particolare maschile/femminile, iniziata con “Sempre la belva si scatena per paura”, produzione del 2001 nata dal lavoro su P.K. Dick. Maya è uno studio sull’illusione suprema del mondo che appare, sul fenomeno come principio di conoscenza e portatrice di seduzione ed errore: Maya è madre ed assassina.
Il luogo della rappresentazione è l’Espace di via Mantova 38, l’officina del teatro off torinese più attiva di questo periodo. Lo spazio è utilizzato per intero dalle due attrici che aggrediscono una scena bifocale giocata su effetti di impatto scenico immediato: Eliana Cantone, voce avvolgente ed inquietante, tesa sotto una cascata di luce verticale, si contrappone all’orizzonte amniotico di una Paola Chiama bravissima ad utilizzare il corpo come carnaio di segni. Produce distruggendo dalle conturbanti pieghe di gestualità, vita e annientamento: dall’umidità partorisce un uovo distrutto tra le mani con l’espressione della nascita, di una fine fatta per rinascere.
La Chiama (coreografa anche del gruppo Agar) si aggrappa alla sua fisicità rigettata ai confini di un nichilismo acceso dall’oracolo gesticolante: raccoglie le parole di un rito e crea l’illusione dell’incatesimo-mondo. L’azione vive su due piani opposti (quello verticale del logos e l’altro orizzontale della fisicità a nudo) attraverso l’evocazione di forze sferiche: il vortice così creato ravviva una tensione che nasce dalla rottura dell’uovo (potenzialità di vita interrotta nel pianto grondante di un flusso infinito) e termina nello sguardo dell’uomo che vede in coscienza la forza di un corpo ricondotto all’Uno – il principio. Il testo dello spettacolo finendo con Maya – il velo illusione, grande vagina del mondo- è parola senza corpo: lo prende in prestito dall’oracolo/sacerdote (Eliana Cantone) che ripercorre le tappe dell’uomo cieco e sordo, dagli occhi sbarrati e le membra guidate da fili/incantesimi, come nello specchio di luce di una vita donata. Concretizzazione di un’estrema possibilità, che è mondo, l’azione diventa e si chiude nel riso amaro di una madre che ci buca gli occhi. MAYA.
di Alan Vai