Barcellona da vivere
Febbraio 10, 2002 in Viaggi e Turismo da Redazione
Agli Incontri Internazionali, come anche sono nomati i Capodanni di Taizè, si dorme poco. Passate quindi quelle poche ore di riposo, la mattina si prova la colazione spagnola; roba leggera, bisogna provare quella polacca prima di parlare… Si va alla spicciolata in chiesa, primo incontro di preghiera nella parrocchia. Ora i più schizzinosi non s’impressionino dal termine: trattasi di ameni momenti in cui si può riflettere, pregare, condividere, il tutto accompagnato dai bei canoni della comunità, semplici frasi in diverse lingue ripetuti ad libitum. Dopo ciò, gruppetti di discussione in cui si presentano realtà di volontariato.
Verso le undici si parte per il centro fieristico, luogo deputato all’incontro totale. In metropolitana, nasce una leggenda. Si passa una stazione che lo speaker presenta con un’enfasi particolare: Can Vidalet. Non so quanti di voi abbiano visitato Barcellona, quanti siano andati in metropolitana verso Cornella, quanti abbiano fatto attenzione agli speaker della metropolitana. Fatelo nel vostro prossimo soggiorno nella capitale catalana: linea 5, direzione Cornella. Torniamo alla Fiera. Per caso ritroviamo gli altri nostri amici, e vai di racconto: “noi siamo in palestra… c’è un gruppo di lituani che… io sono alloggiato a due passi da qui… Can Vidalet…”.
Intanto vediamo anche una nostra cara amica polacca, Anna, conosciuta due estati prima, che non manchiamo di incrociare quando partecipiamo ad attività di Taizè. Le si mostra le foto di quando è venuta a Torino con la scusa della Sindone. Intanto un nostro amico, a Barcellona da qualche giorno prima per dare una mano all’organizzazione ed al coro, ci racconta di altre conoscenze presenti all’incontro: Alicja, che mi sta cercando da alcuni giorni, e Mateusz, pazzo fagottista che era alloggiato con noi l’anno precedente a Varsavia.
L’incontro va avanti, tra momenti di preghiera, turismo sfrenato fra Ramblas e Sagrada Familia, jam session con chitarre, bonghi ed il violino di Anna, chiacchiere fino a notte fonda con Luis e famiglia, incontri con amici.
Intanto si arriva al 31 sera. Qui si tratta di fortuna. Se si è in una parrocchia spenta ci si ritrova senza festa di capodanno; oppure ci si ritrova con un mezzo aborto; oppure ancora, se la parrocchia è viva, ci si ritrova a festeggiare in modo semplice, ma molto coinvolgente fino a notte fonda. La serata per noi è iniziata bene, con invito a cena in famiglia, tipica cena spagnola con tanto di tapas ed amenità varie. Poi, preghiera alle 23 e corsa alla palestra per festeggiare i rintocchi della mezzanotte.
Così, allo scoccare del nuovo anno, ci siamo ritrovati polacchi, lituani, sloveni, spagnoli, rumeni ed italiani a festeggiare, bevendo spumante e mangiando l’uva catalana ben augurale. Subito dopo sono arrivate le tristi canzoni commerciali da discoteca, ma l’atmosfera era tale da portare tutti a ballare come dei deficienti nonostante le canzoni da molti non amate. I trenini si sprecano, i passi inventati e subito copiati da tutti gli altri, senza barriere né nazionalistiche né emotive, pure. Intanto, su pressante nostro invito, altri amici disseminati in altre parrocchie tra quelle spente arrivano a Cornella e noi li si va a prendere. Tra questi anche l’amica polacca, che dopo qualche ora avremmo dovuto salutare per non rivederla, se non tra una decina di mesi. Avanti così fino alle tre. Poi però…
Essere ospiti in casa in questi Incontri Internazionali è una gran figata, perché si sta comodi e coccolati e perché c’è un grande scambio con gli abitanti del luogo. Il problema è che se la famiglia ospitante è anche una delle organizzatrici, si va a letto un po’ tardi la notte dell’uno. Ed infatti all’alba delle cinque passate raggiungiamo il nostro giaciglio. Per tenerci svegli intoniamo a tre voci “In manus tuas”, El alma que anda en amor”, “Bogoroditse dievo”. Cinque e mezza: a letto; otto: sveglia. Anna va alla metropolitana (“mi raccomando, attenzione a Can Vidalet”) per andare alla sua parrocchia, noi ci prepariamo per andare alla nostra, e salutare così tutti quanti i nuovi amici, da Ignigo a Fernand ed Elisabeth. Forse li rivedremo a Taizé, forse mai più.
Per ora abbiamo le loro e-mail, poi si vedrà. Finito, vado con papà Luis alla scuola dove sono stati alloggiati i ragazzi per aiutare a sgomberare. Torniamo in famiglia e ci prepariamo al pranzo. Di nuovo tapas (olive, gamberetti, polpa di granchio, asparagi, prosciutto crudo tagliato direttamente dal coscione), seguite da simil-cannelloni spagnoli ed una tortillas ricca di patate. Ospiti al pranzo, anche tre ragazzi polacchi che rivelano essere molto simpatici. Alla fine mi regalano anche una cassetta polacca con la quale amplio la mia collezione iniziata l’anno prima a Varsavia. Purtroppo è già l’ora dei saluti: i ragazzi polacchi se ne vanno e dopo una mezz’ora tocca a noi. Saluti calorosi con l’ospitale famiglia, si spera di vedersi in futuro. Il padre getta le basi decantandoci un importante monastero nei pressi, monumento nazionale (tipo la nostra Sacra di San Michele). Gracias de todo, e ce ne andiamo.
Qui iniziano le peripezie del viaggio di ritorno, ce ne sarebbe ancora per un libro: metropolitane intasate, Diagonal bloccata, ritrovamento di patenti perdute, vomiti della notte precedente da evitare ad ogni svolta, l’ammutinamento sul pullman del ritorno, ma il più già se ne va. Rimangono decine di facce nuove, gli occhi aperti su un mondo molto più complesso di quello che si può immaginare, l’aver scavato più a fondo in una società troppo facilmente stereotipata. E le storie della bandiera catalana, delle oche nel chiostro della cattedrale, delle rose donate alle donne nel giorno di San Giorgio. Autobus, posto di capo-pullman, direzione Figueras-Lyon-Grenoble ed una domanda che ci solletica le fantasie: a quando un Capodanno di Taizé a Torino?
di Diego DID Sirio