Battito animale
Febbraio 17, 2002 in Libri da Stefano Mola
Giuseppe Caliceti, “Battito animale”, Marsilio, pp. 311, Euro 15,49
Allarghiamoci. Picchiamo duro. Subito, con una domanda che si gonfi come una mongolfiera (suggerendo immediatamente per il sottoscritto l’immagine del pallone gonfiato, come tentativo di contrappunto ironico, o anche di contrappeso, e quindi zavorra, antidoto all’illusione del volo verso quote troppo elevate).
Eccola, questa domanda: di cosa è fatta una storia? Prima che qualcuno scappi pensando giustamente che anche solo per avvicinarsi alla risposta occorrerebbero almeno alcuni milioni di parole, avvisiamo che saremo tranchant: una storia è fatta di una serie di avvenimenti e di un modo per raccontarli (poi sarebbe bello provare come Linneo a tentare delle classificazioni, a seconda del peso che hanno gli avvenimenti oppure il modo, anche se alla fine l’importante è che una storia dia piacere, o anche sarebbe bello ricevere da chi legge altre risposte tra tutte quelle possibili).
Un modo: oppure un punto di vista forte, una voce, una primapersona che stenda il suo mantello sugli eventi (anche se un mantello nasconde, ma un punto di vista è un fascio di luce: quindi, per complemento, definisce un cono d’ombra), o anche una muleta a domare il toro degli eventi, il magma di tutte le storie che si incrociano nel mondo, per colarlo nello stampo, o meglio in caratteri di stampa.
Ecco (prima che si perda speranza che questo pezzo sia solo uno sfoggio e il titolo un pretesto), “Battito animale” è (secondo me) in primo luogo una voce. Quella del Nonno. Una voce eroicomica, immaginifica al punto da sfiorare ironicamente (a volte) la magniloquenza, fondamentalmente ed energicamente entusiasta, cultrice del punto esclamativo e quindi lontana dal calcolo della prudenza.
Il Nonno e i suoi compagni gestiscono una discoteca. Nei locali di una ex-fonderia: la fonderia Italghisa (locale che del resto a Reggio Emilia esiste veramente, e ad alcune vicende di questo locale il romanzo liberamente si ispira). Una discoteca che ha problemi di rumore e invasione di parcheggio col quartiere vicino, e dunque necessariamente di deve rapportare colle istituzioni (e qui troviamo diessini, feste dell’Unità, animatori culturali gay, campagne elettorali) e che si deve riempire di ragazzi, e che per riempirla deve sapere qual è la musica, qual è il divertimento che vogliono i giovani: e qui sfioriamo i temi del rave e della techno (nella parte del romanzo intitolata fuoco).
Ascoltate un attimo il Nonno esplodere il suo entusiasmo di fronte alla prospettiva di invadere la fonderia con la musica techno (pagina 85): “Per arrivare al grado di demenza del Nonno ogni altro suino deve ricorrere alla droga. Io modestamente faccio tutto da solo. Achtung! Achtung! Batteremo con la nostra ascia di guerra il ferro caldo dell’orizzonte, fratelli! Metteremo ali di bronzo ai cavalli uncinati del nostro arcobaleno sonoro! Achtung! Achtung! Le aquile nere aprono ali imbottite su molli vasche idromassaggio! Uomini in divisa scendono dalle autobotti! Si sollevano i ponti! Un battito di ciglia metterà in ginocchio il mondo! L’inferno che ci abbaia dentro sta per esplodere come l’occhio di una mantide religiosa!”.
Così, attraversando le vicende della fonderia Italghisa, i rapporti amorosi tormentati del Nonno, abbiamo in regalo un racconto del nostro tempo, o almeno di quella parte del nostro tempo che ha luogo a Reggio Emilia (i romanzi devono raccontare il nostro tempo? altra domanda per chi legge). E questo raccontare il nostro tempo funziona proprio per l’equilibrio che si instaura tra questa voce eroicomica e la materia narrata, nell’effetto di alleggerimento creato dal tono narrativo rispetto alla sostanza degli avvenimenti. Alleggerire non vuol dire che le cose raccontate non sono importanti, significa piuttosto togliere pesantezza, allontare giudizi sociologici preconfezionati (insomma, per la leggerezza andate a vedere la prima delle Lezioni Americane di Calvino, è molto meglio).
PS: faccio ammenda del mio non aver letto il primo romanzo di Caliceti, “Fonderia Italghisa”. Alla ricerca dell’interattività, chi lo ha letto si faccia sotto.
di Stefano Mola