Bolero berlinese
Dicembre 2, 2008 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Bolero Berlinese |
Autore: | Ingo Schulze |
Casa editrice: | Feltrinelli |
Prezzo: | € 16,50 |
Pagine: | 213 |
Dopo il monumentale Vite nuove che ci immergeva nel magma della riunificazione tedesca, Ingo Schulze torna a una dimensione più domestica, a un respiro che si chiude in poche decine di pagine. Bolero berlinese è una raccolta di tredici racconti, o meglio, storie alla vecchia maniera, suddivise in tre parti.
La scrittura di Schulze qui è piana, senza ricerca di aggettivazione stravagante o metafore. Potrebbe talora parere quasi svagata, sbigottita, attenuata dal reale, forse fredda. Eppure costruisce poco a poco (come direbbero i matematici, la somma di infinitesimi non è necessariamente un infinitesimo) come un senso appannato dello stupore per un mondo che non può essere compreso del tutto. Un mondo costellato di epifanie che non rivelano, anzi spesso sembrano essere una inquietante e non spiegabile infrazione dell’ordine del mondo, o meglio della sua apparenza.
Probabilmente è aspirazione condivisa la ricerca di un senso, come se un senso fosse una cornice e il reale pezzi d’un puzzle da far combaciare e soprattutto da inserire in questa cornice. Perturbanti in genere tutte le cose che si oppongono.
L’impressione che si ricava da questi racconti è che questa cornice sia nella mente dei personaggi ma che in fondo abbiano rinunciato ad usarla. È come se si ritrovassero in mano i pezzi del puzzle quasi per caso, si ricordassero vagamente dell’esistenza della cornice, e ancor più vagamente di doverli in qualche modo inserire al suo interno i frammenti del reale. Per ragioni che non vengono spiegate, forse semplicemente per la stanchezza dei nostri tempi, rinunciano, e si limitano a guardare, senza cercare di capire del tutto.
Questo può assumere sfumature diverse, da quelle ironico-divertite dell’orso in bicicletta che compare nel racconto In Estonia, a quelle noir della donna dai capelli rossi che punta la pistola contro il narratore in Come Milva, quando era ancora molto giovane.
Questa sensazione che porta alla fine a chiedersi se non sia proprio la cornice, la sua possibilità, ad essere svanita per sempre, si applica anche ai rapporti umani, in particolare ai rapporti di coppia. C’è sempre una distanza tra questi uomini e queste donne, un muro trasparente, a volte una rinuncia di fronte agli spigoli potenziali, così che il sesso appare talora l’unico momento di vero contatto.
Sono storie ambientate in giro per il mondo, la Germania del prima e del dopo compare a schegge, senza una dimensione politica predominante. A volte gli occhi che guardano e narrano sembrerebbero essere quelli stessi di Ingo Schulze, poiché in diversi racconti compare uno scrittore, ora in Estonia, ora al Cairo, ora a New York, ora su un treno tra Budapest e Vienna, sempre alle prese con una donna diversa.
Come sempre, c’è la tentazione della domanda: cosa ci sarà di vero? Come ho scritto nella recensione di Dottor Pasavento, romanzo di Enrique Vila-Matas, secondo me la letteratura è assolutamente finzione. Nonostante qui il gioco sia meno dichiarato, c’è un racconto emblematico: Ancora una storia. Qui il punto di vista oscilla tra la prima e la terza persona, tra l’esterno e il dietro agli occhiali. Una prova a carico, un altro elemento di interesse da aggiungere agli altri, la conferma di un narratore che vale la pena tener d’occhio.
di Stefano Mola