Canale Mussolini
Settembre 2, 2010 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Canale Mussolini |
Autore: | Antonio Pennacchi |
Casa editrice: | Mondadori |
Prezzo: | € 20,00 |
Pagine: | 460 |
Canale Mussolini, con cui Antonio Pennacchi è nella cinquina del Premio Campiello è una saga familiare, che comincia così: Per la fame. Siamo venuti giù per la fame. E perché se no? Se non era per la fame restavamo là. Quello era il paese nostro. Perché dovevamo venire qui?
Ora là è la pianura padana, il Veneto, Ferrara. Qui è l’Agro Pontino. E il noi è la famiglia Peruzzi. Due fratelli, diciassette fratelli ciascuno. Il tempo della storia parte dagli inizi del secolo e arriva fino al 1945. Il canale Mussolini del titolo è l’opera che permette la bonifica delle paludi pontine, e la famiglia Peruzzi fa parte delle trentamila persone che il fascismo sposta per completare l’opera e coltivare le terre.
Il racconto ha così il respiro ampio della grande storia, è in un certo senso un ripasso della prima metà italiana del Secolo Breve. Soprattutto, del fascismo, dalla sua nascita alla sua caduta. La famiglia Peruzzi ne è partecipe fin dall’inizio, fin dalla fondazione a Milano dei fasci. La narrazione è condita di dati e di date (le note finali contengono una bibliografia decisamente nutrita), e al tempo stesso la dimensione colloquiale e fiabesca di un filò, di quei racconti fatti nelle stalle nelle sere d’inverno. Solo in apparenza la forma del racconto è improntata alla divagazione, in realtà si avvita a spirale sul fuso del tempo, andando avanti e indietro secondo un movimento ampio, in un certo senso epico.
Epiche senz’altro sono le figure: non c’è spazio per il rovello di psicologia fine, dominano le tinte forti dei sentimenti primari, che le agitano come colori puri. Non a caso i nomi dei personaggi rimandano all’antichità classica o alla sua idealizzazione: Paride, Temistocle, Armida…
Del resto, l’orizzonte quotidiano è quello del duro lavoro e della sopravvivenza d’una famiglia che lavora la terra, alleva le bestie, ritma le sue giornate col sole e con le stagioni. Il romanzo è anche una memoria materiale: oggetti, tecniche, abitudini trovano spazio e dettaglio accanto alle vicende della piccola e grande storia.
Al di là della struttura, senz’altro riuscita, c’è poi il punto di vista sul fascismo: visto dal basso, da chi lo ha costruito e vissuto aderendo all’ideale. Qui personalmente mi sono trovato in un certo senso in difficoltà. Cresciuto definendomi di sinistra in maniera istintuale, così come si sceglie la squadra del cuore, quasi senza una analisi approfondita dei fatti storici, altrettanto d’istinto il fascismo per me è il male assoluto. Ma appena svolto l’angolo delle definizioni facili, ed entro nella stanza dell’argomentazione, mi manca l’appoggio solido d’un tavolo dei fatti. Quando e quanto davvero ho studiato la storia, io che manco sapevo chi era Rossoni?
Pennacchi mi dice che il fascismo non nasce da una minoritaria invasione aliena (detto così sembro banale e ingenuo, lo so): è stato fatto da un certo numero non trascurabile di italiani che ci hanno creduto. Italiani che nel caso specifico dei Peruzzi hanno anche trovato occasione di riscatto, pur pagando il prezzo di una migrazione interna.
E, si badi bene, la narrazione non è apologetica, pur odorandone in taluni passi. Non si nega nulla dei crimini coloniali, per esempio. Eppure, veder liquidate le leggi razziali in poco più che un paio di pagine su un testo che ne conta oltre 450 a me, che ho il mito di Se questo è un uomo fa un po’ specie. Non so se è semplicemente il riflesso di quella maglia di sinistra addosso. Navigando nella rete, di queste perplessità non ho trovato traccia. Non so se questo sia un segno dei tempi, e io non sono certo tra quelli che ora gridano a un regime presente o imminente.
Mi resta la stima per una narrativa potente, e la voglia di approfondire una pagina della nostra storia che forse troppo spesso ho dato per scontata.
di Stefano Mola