Cannibal Holocaust
Agosto 26, 2007 in Cinema da Redazione
Film horror di Deodato su violenze impartite gratuitamente da un gruppo di ragazzi. La storia è tuttavia ciclica e niente rimane impunito. Pellicola cruda con trama debole ma d’impatto.
Molti di voi ricorderanno, probabilmente, “The Blair Witch Project. I tre ragazzi che vanno in un bosco a cercare la verità su una leggenda locale e si perdono. La pellicola riporta i filmati girati con la loro telecamera e misteriosamente ritrovati. Un film di serie B. Perché ne parlo? Perché attinge a piene mani da un altro film horror serie Z, “Cannibal Holocaust”, di Ruggero Deodato. Dubito che siate in molti ad essere a conoscenza della sua esistenza, dato che è stato stroncato, censurato e soprattutto fuori catalogo per diverso tempo.
La storia è scarna e forse anche un po’ debole: quattro ragazzi , reporter shock affermati, si recano nella foresta amazzonica per girare un reportage sulle tribù indigene.
Non ritornano più indietro, così un gruppo di salvataggio viene inviato per riportarli a casa. Si ritrovano magicamente a compiere lo stesso tragitto dei ragazzi, arrivando a fare amicizia con le popolazioni locali e scoprendo che i quattro sono stati uccisi. Perchè? Un mistero che trova soluzione nei filmati ritrovati tra le spoglie dei quattro malcapitati.
Tornati alla “civiltà” scoprono l’arcano. I ragazzi non si limitavano a osservare, erano in realtà i fautori del male che filmavano. Erano loro la causa di uccisioni, stermini, pene capitali etc. Giocavano con la vita e il mondo, per poi andare in sala montaggio e costruire storie sensazionali. Che fruttavano soldini.
Apparentemente sembra un film da nulla, privo di attrattiva. Anche Morandini lo giudica male, assegnandogli appena un punto e mezzo. E’ lapidario: “L’espediente del documentario serve a R. Deodato per un inutile e cinico sensazionalismo”.
Sarà. Fatto sta che alla mia prima visione sono rimasta letteralmente folgorata e anche alla mia seconda, alla terza… Logico che voglia parlarvene!
Il film è diviso in due parti. La prima, quella meno interessante e che potrebbe far demordere e portare a spegnere il televisore, funge solamente da introduzione. La squadra di salvataggio mostra l’ambiente selvaggio, i suoi abitanti, il loro essere malvagi e ingenui nello stesso tempo.
Pessimo cinema, assolutamente.
Passiamo davanti a un guscio di tartaruga, a un palo fissato nel terreno, raccogliamo le spoglie della guida dei giovani reporter. Poi il villaggio, con le strane abitudini e i riti per l’accettazione. Infine il ritrovamento degli scheletri e dei nastri. Ma è al ritorno a casa, quando il protagonista del film si ritrova in sala montaggio a spulciare e a spiare la vita segreta dei quattro ragazzi, che la cosa si fa interessante.
Tutta girata con una telecamera a mano (come The Blair Witch Projet), mostra senza veli le reale personalità dei malcapitati. La musica, dolcissima , soave, sognante… accompagna scene di sangue e di terrore inenarrabili. I ragazzi cominciano con l’uccisione e lo smembramento di una tartaruga, per poi passare alla cattura di un’indigena, con correlata violenza sessuale e “impalamento”.
I tre maschi la violentano, a turno, in mezzo al fango, incuranti delle urla e dei pianti della donna, filmando tutto… e gridando, di tanto in tanto “questo filmato lo teniamo per l’album di famiglia, da rivedere tutti insieme a Natale, vicino al camino acceso”…
La telecamera si spegne e si riaccende pochi secondi dopo. I quattro fanno finta di avvicinarsi per la prima volta al palo dove hanno appeso la vittima e fingono disgusto, ribrezzo (accennando però distrattamente un sorriso di compiacimento). Parole di cordoglio anche: “sembra un rito magico, una punizione per un’adultera. Ma noi non possiamo capire e concepire un simile orrore, appartenente a queste culture sottosviluppate”..
Credo sia la scena più terribile del film, quasi inguardabile, tanta è la violenza. Non sono una mente impressionabile e le pellicole dure e crude sono tante. Forse quella più cruenta in assoluto nel cinema d’autore è “Salò e le 120 giornate di Sodomia”, di Pierpaolo Pasolini. Ma in quel caso c’era una sorta di psicologia dietro, una serie di spiegazioni. Non era violenza pura e priva di significato.
Deodato ha mostrato il degrado più assoluto dell’uomo, quello che non potremmo nemmeno lontanamente progettare. La noia e il senso di onnipotenza che trasformano gli uomini in assassini.
E poi c’è l’incendio al villaggio. Uomini, donne e bambini che vedono distrutte le loro case, che vengono picchiati e maltrattati… Il tutto sempre accompagnato dalla musica di Riz Ortolani.
Devastazione e dolcezza. Forse è proprio per questi suoni che non riusciamo a credere ai nostri occhi. Musica dissacrante, quasi derisoria se vogliamo. Poco rispettosa. O forse musica che ci sussurra che tutto va avanti, che noi siamo anche questo, uomini e donne crudeli e gioiosamente cattivi. Musica che si prende gioco del nostro orrore, sorridendo alla nostra ingenuità. Anche tu sei così, sembra svelarci qualcosa più in alto di noi.
Una cosa forse esecrabile del cinema di Deodato è stato l’utilizzo di animali veri per le scene. Tartaruga, ragni, serpenti, scimmie… Tutti gli animali uccisi nella pellicola non sono stati ammazzati per finta. E’ tutto vero.
Deodato ha avuto, giustamente, parecchie ripercussioni da parte degli animalisti (e ci mancherebbe), ma anche per questo le immagini hanno più impatto. Non riusciamo a distogliere lo sguardo da tanta vacua imbecillità. Mentre una tartaruga veniva sventrata… Ho sentito male fisico. Mai un film mi ha provocato simile reazione. Sarò ingenua, ma questo è stato uno dei motivi per cui ho amato e amo quest’opera. La capacità di coinvolgere è sorprendente.
Nel film sono presenti anche gli ultimi attimi di vita dei ragazzi. Dopo tanto dolore afflitto a una tribù di cannibali innocua, è venuto il loro turno di sofferenza. Vengono uccisi, lentamente e dolorosamente, sopportando le stesse pene che hanno dovuto subire le loro vittime.
L’ansia di diventare ancora più potenti e famosi ha portato i quattro a filmare anche la loro dipartita. Incuranti della loro morte, assistiamo alla caduta di tutti e quattro. La telecamera cade a terra e la testa dell’ultimo sopravvissuto, con gli occhi sgranati, le cade vicino, fissandola vuotamente…
Il filmato finisce. Ogni commento è superfluo. ..”mi chiedo chi siano, i veri cannibali”… Così riflette tra sè e sè il protagonista del film, uscendo dalla stanza del montaggio.
La musica riprende, portando via anche i titoli di coda…. E i nostri pensieri viaggiano, verso un’altra Amazzonia, riflettendo sulla follia…. La Follia che porta a una tartaruga sventrata, a una donna massacrata… al sorriso beffardo di un ragazzo che gioca a essere Dio….
di Alice Suella